Appena varcata, la squadra viene colpita da una sorta di horror vacui, dal terrore di addentrarsi in un territorio inesplorato e pieno di pericoli
Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’atroce fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine?
Essere o non essere Insigne? Essere o non essere Zielinski? Essere o non essere Fabian Ruiz? Essere o non essere Meret?
E si potrebbe continuare, fino ad arrivare alla madre, anzi al padre di tutti i dubbi: Essere o non essere Gattuso?
Il Napoli affonda in una serie irrisolta di dubbi amletici.
E, senza scomodare la cultura alta, potremmo rifugiarci in una più appropriata, in questo caso, cultura popolare, chiamando in causa una storica Maruzzella: “Primma me dici sì, po’, doce doce, me fai murì…”, oppure convocare come testimone Arbore per farci suggerire: “Che m’hei purtato a ‘ffa’ ‘ncoppa Pusilleco (6 a 0 con la Fiorentina), si nun me vuò cchiù bene? (0 a 2 con la Juve)”.
Ci sono partite che… nascono e muoiono all’insegna del dubbio: appena superata la linea di centro campo, linea che in questi casi assume le sembianze delle “colonne d’Ercole”, la squadra viene colpita da una sorta di horror vacui, dal terrore di addentrarsi in un territorio inesplorato e pieno di pericoli, mitigato solo dalla presenza di un compagno che ti sta vicino, a soli tre metri di distanza, al quale passi quel pericoloso attrezzo che hai tra i piedi e lui, dopo averci pensato un po’, lo dà a uno che ha la maglia dello stesso colore e sta sei metri più indietro, il quale, a sua volta, dopo aver lanciato un’occhiata che chiede soccorso agli immobili compagni che stanno davanti, non ricevendo segnali positivi, la ributta indietro verso quel giovanotto che passa tutto il tempo fermo tra i pali della porta, il quale non ha lo stesso colore di maglia ma sembra di conoscerlo e quindi pare sia dei nostri. E si ricomincia daccapo.
Ci sono partite che… i terzini non sanno proprio che fare: se sia più nobile restare “bloccati” e soffrire colpi di fionda e dardi o “spingersi” in avanti contro un mare d’affanni e por loro fine.
Ci sono partite che… già una vita da mediano, com’è risaputo, non è un granché. Se poi ci aggiungiamo anche la solitudine nella quale ci ritroviamo troppo spesso a dover arginare tre o quattro avversari che ci mettono in mezzo, mentre un signore, a bordo campo, urla ossessivamente, non sappiamo perché, il nostro nome come se noi non lo sapessimo, ebbene, in quei momenti rimpiangiamo quella volta quando, da giovani, ci avevano proposto di intraprendere il mestiere di sommozzatori e noi rifiutammo.
E ci sono anche partite che… ci ritroviamo, sotto la pioggia, su un prato verde pieno di buche che sembra un campo di patate e non sappiamo più se siamo a Crotone o a Reggio Emilia e ci viene il dubbio, mentre la pioggia si infiltra dentro le nostre magliette, se questo mestiere lo facciamo per la gloria, per i soldi o per pura e semplice vanità.
E risparmiateci, per favore, la storiella del divertimento che dovremmo provare mentre giochiamo, perché se dite questo, non sapete di cosa state parlando.
L’unico conforto è che, come diceva Eraclito, panta rei, tutto scorre e quindi stanno per scorrere anche questi maledetti novanta minuti e domani è un altro giorno, anzi un altro gioco.