L’attore al CorSera: «Era il mio tasto dolente. Mi dava imbarazzo. Quando chiedevo un caffè al bar usciva solo un soffio e il barista nemmeno si accorgeva. Mi vergognavo»

Alla vigilia dei suoi 50 anni, Stefano Accorsi si racconta al Corriere della Sera e parla dei suoi esordi, di come ha scoperto la sua passione innata per il cinema e del primo film con Pupi Avati. Oggi ha alle sue spalle una grande carriera, ma non sempre è stato tutto rose e fiori.
«C’è stato un momento, di cui non ho mai parlato, in cui i dubbi erano diversi. Era quando vivevo in Francia. Essermene andato dall’Italia era stato vissuto come qualcosa di sprezzante e poco a poco, anche per via dei miei no, le proposte non erano più tante. Avevo un po’ rotto. In quei dieci anni, dopo tutto quel successo, ho fatto solo tre film in Italia. È stato angosciante: mi svegliavo di notte non sapendo se sarei tornato ad assaporare quell’emozione».
Tre nomi, tre flash: Ligabue, Muccino e Ozpetek.
«Di Ligabue amo lo sguardo fresco; le nostre radici ci fanno capire al volo. Con Ozpetek e Muccino ho fatto tre film: nello stesso anno ho girato prima Le fate ignoranti e poi L’ultimo bacio: hanno cambiato il corso di tutto».
Uno dei punti forti di Stefano Accorsi, per cui c’è una vera e propria venerazione è la sua voce, un punto che fa sorridere non poco l’attore.
«È curioso, era il mio tasto dolente. Avevo un difetto, una voce molto debole che mi dava imbarazzo. Ricordo la sensazione al bar: al bancone volevo chiedere un caffè ma usciva solo un soffio per cui chi avevo a fianco si girava mentre il barista nemmeno si accorgeva. Mi vergognavo».
Ora invece è diventata una sua qualità molto apprezzata, grazie al lavoro fatto con il logopedista Gianpaolo Mignardi, che ha cambiato la sua voce e soprattutto il suo modo di ordinare il caffè.
«Adesso spalanco la porta e dico già da lì: “Offro io”».