Al Corriere: «Una volta mi scolai una bottiglia di gin e mi risvegliai all’ospedale in una camicia di forza. Avevo tentato di spruzzare gli sconosciuti con la benzina. Le fan? Io e mamma rispondevamo insieme alle lettere»
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Il Corriere della Sera dedica una lunga intervista a Bobby Solo. Oggi compie 76 anni. Racconta che il padre era molto severo, ma che aveva anche ragione, viste le “marachelle” che combinava lui.
«Amavo i fiammiferi… Una sera in terrazza mescolai polvere da sparo con zinco e magnesio. Da una scintilla partì una botta che illuminò i quattro piani del palazzo di fronte. E io mi ritrovai con le ossa della mano, senza più polpa: ho una mano più giovane dell’altra».
Non fu la sola esperienza del genere.
«Sempre con i fiammiferi, una scatola di latta e un cilindro di Calcium Sandoz creai un missile che finì nella finestra del rettore del mio ginnasio: 15 giorni di sospensione. Un’altra volta, in chiesa, con un compagno facemmo esplodere dei petardi: altri 15 giorni».
E ancora:
«A 13-14 anni con Renzo, figlio di un detenuto per quattro omicidi, andavamo a Villa Glori a rubare le moto degli innamorati, le smontavamo e le rivendevamo a Porta Portese. Durante le Olimpiadi di Roma ci infilammo negli spogliatoi e rubammo i portafogli alle nuotatrici. Scampai il carcere. Poi mio padre si fece trasferire a Milano. Appena raggranellai i soldi per pagare il treno a Renzo lo feci salire, avevo 16 anni, e ci scolammo una bottiglia di gin: mi risvegliai all’ospedale in una camicia di forza, pare avessimo tentato di spruzzare gli sconosciuti con la benzina. Ricordo che mio padre venne a prenderci con il loden verde…».
La musica, dice, lo ha salvato da un possibile futuro criminale.
Di sé dice:
«Non sono mai stato furbo, ho pensato più al piacere di fare musica e condividerla con il pubblico che ancora mi vuole molto bene».
E delle fan:
«Mi arrivavano sacchi di lettere alti due metri a cui io e mamma rispondevamo insieme».
Racconta il rapporto con Little Tony:
«Mai stati rivali. Lui si concentrava sull’immagine, a me interessava la voce di Elvis. Io ero audio, Tony video. Fin dal primo Sanremo, mi trattò come un fratello minore: io ero arrivato con diecimila lire che dovevano bastare per tutto il Festival. Lui aveva già una Jaguar verde metallizzata. Mi faceva fare certe cene con aragoste e spigole... Sono tornato da mia mamma con le 10 mila lire intonse».
Nel corso della sua carriera ha incontrato anche Tom Jones e Jonny Cash. Jones lo conobbe a Roma.
«Nei corridoi Rai gli diedi il mio numero, la notte chiamò il manager dicendo che voleva venire da me. Svegliai mamma che gli offrì del gin. Lui lo tracannò, accese un sigaro cubano e si mise a suonare la mia Eko a 12 corde. Johnny Cash lo vidi in Germania, dove avevo venduto tre milioni di dischi: in camerino mi strinse la mano, mi impressionò quanto era alto».
Il primogenito di Bobby Solo, Alain, è stato nella comunità di San Patrignano perché eroinomane. Il cantante ne parla. Dice di non essersi mai sentito in colpa.
«No, perché non ho mai abbandonato i miei figli. Il problema è stato il branco in un bar a Casal Palocco. Ne è uscito benissimo, mi ha dato 4 nipotini, alleva golden retriever. Red Ronnie mi aiutò a bypassare la lista d’attesa: senza il suo intervento Alain sarebbe morto».