Furono i cinque fratelli che giocarono. Disse no alla Juventus e un giorno, per segnargli, il Modena fece tirare suo fratello Lucidio anch’egli portiere
Arnaldo Sentimenti, di cinque fratelli Sentimenti, portiere modenese arrivò a Napoli nel 1934, si innamorò di Napoli e a Napoli trascorse tutta la sua vita in una bella casa al Vomero, la collina dove visse per più di sessant’anni, dal 1934 al 1997.
Era il secondo dei nove figli di mamma Augusta, soprannominato “Noci” in famiglia. Cominciò a giocare nella Pro Calcio di Bomporto. In una amichevole a Modena, lo notò Garbutt. Era il 1934 e Arnaldo aveva vent’anni. “Verresti a fare un provino a Napoli?” gli chiese Garbutt. “Ci vengo anche a piedi” fu la risposta.
Pochi giorni dopo, ebbe la lettera di convocazione del Napoli e un vaglia di 500 lire. I Sentimenti non avevano mai visto tanto danaro.
A Napoli, il presidente Savarese gli propose 900 lire al mese più vitto e alloggio in una pensione del Vomero. Poi il presidente gli disse: “Ti do a parte mille lire per comprarti un abito, un cappotto, delle camicie e un paio di scarpe”. Sentimenti si riprese dalla sorpresa e disse: “Io vesto così come sono, le mille lire le manderei a casa che ne hanno tanto bisogno”. E Savarese: “Manda pure le mille lire a casa e vai da Armenio, in via Roma, a comprarti i vestiti con questi altri soldi”.
Cominciò col fare la riserva di Cavanna. Debuttò il 25 novembre 1934: Napoli-Brescia 2-0. Nel campionato ’35-’36, il Napoli stava vincendo ad Alessandria 2-0. I piemontesi rimontarono e Sentimenti, incassati due gol, venne espulso. Il Napoli alla fine vinse 3-2. Negli spogliatoi, premio partita di mille lire per tutti, tranne per Sentimenti. “Non le hai meritate” disse il presidente Savarese. Intervenne Sallustro: “Presidente, le mille lire che spettano a me le passo a Sentimenti, io gioco gratis”. Savarese si commosse e, dopo che Attila dette il suo premio al portiere, dette mille lire a Sallustro.
Questo era il calcio dei tempi antichi e di Arnaldo Sentimenti me ne ha parlato Valerio Vegezio uno dei nipoti di Arnaldo, il calcio bello che gli raccontava il nonno. Un giorno Lauro disse a Sentimenti: “La Juve ci offre 200mila lire e a te dà un ottimo ingaggio. Se vuoi andare, vai. Ma se rimani mi fa piacere”. Sentimenti non ci dormì la notte. Il giorno seguente andò da Lauro e gli disse: “Rimango perché Napoli per me è come una seconda mamma”. Nella stessa settimana trovò in segreteria una busta con cinquemila lire e un aumento di stipendio.
Fu un portiere pararigori. Ne parò a Bernardini e a Piola. Nel 1941-42 parò sei rigori di fila, serie interrotta da un memorabile episodio. Al Vomero arrivò il Modena, in porta Lucidio Sentimenti, il quarto dei fratelli. Il Napoli passò in vantaggio, poi l’arbitro assegnò un rigore ai modenesi. Nessuno voleva batterlo temendo le “magie” di Sentimenti II. Allora si presentò sul dischetto suo fratello Lucidio. “Che cosa sei venuto a fare, tanto te lo paro” gli urlò Arnaldo. E Lucidio, di sei anni più giovane: “Tiro forte, non metterci le mani che te le spezzo”. Tirò e fu gol. Arnaldo inseguì Lucidio per tutto il campo. Dieci minuti dopo, l’arbitro assegnò un rigore anche al Napoli. La folla si mise a gridare: “Cherì, Cherì, tiralo tu”. Lo tirò invece Verrina e fu 2-1.
Quel soprannome di “Cherì” gli fu dato dopo che Sentimenti, al Teatro Diana, si era incantato ad ascoltare una soubrette francese che cantò una canzone intitolata proprio “Cherì” e che lui prese a cantare di continuo.
“Cherì” divenne un perfetto vomerese, il quartiere che non abbandonò mai. Sposò una napoletana ed ebbe due figlie, Maria Rosaria e Luciana. E’ stato uno dei giocatori più amati della storia del Napoli. In 12 campionato, dal 1934 al 1948, giocò 227 partite.
Ma ora è bene che vi snoccioli nei soliti miei versi d’azzardo chi erano i Sentimenti.
Nella modenese Bomporto un ponte sul Pànaro e vigne di lambrusco, cinque fratelli. I figli maschi di Arturo Sentimenti. Contadini, vignaioli, muratori, i lavori per campare la vita. Quattro le sorelle e mamma Augusta. I maschi guardavano al ponte sull’orizzonte basso dell’infinita pianura, la fuga nel cuore, l’avventura, una vita migliore.
Ennio era il più grande e il più taciturno. All’ultimo nato fu dato il contentino di chiamarsi Primo. Nel mezzo della nidiata Arnaldo, Vittorio e Lucidio.
Passarono il ponte per giocarsi la partita della loro vita con una sola passione. Il pallone. Riscossero soldi dal nuovo mestiere di fatica e piacere. Enea il postino di notevole taglia recapitava a papà Sentimenti i vaglia dei figli calciatori, i risparmi della loro vita di attori da un’area all’altra di rigore.
Ennio centrosostegno all’antica non andò lontano. Giocò a Carpi, a Nonàntola. Tornò con coraggio al romitaggio dei campi.
Primo fu un difensore spigoloso. Finì a Roma, alla Lazio, tanto s’era spinto. Primo per modo di dire, dei Sentimenti era il quinto. Tornò dall’avventura romana per comprarsi un pezzo di terra e avere una vita più sana.
Vittorio detto Ciccio per un capriccio di nome, terzo dei Sentimenti, ebbe percorsi più ardenti di ala, mezzala, mediano alla Juve e alla Lazio.
Due dei fratelli, negandosi al gioco dei piedi, si fecero portieri. Arnaldo, il secondo, detto Cherì. E il quarto, Lucidio detto Cochi nei giochi dei nomignoli d’arte.
Arnaldo scoprì il suo mondo nella città del sole e delle canzoni, Napoli fu il suo approdo e la sua vita, una lunga partita. Lucidio portiere alla Juve a guerra finita, la gamba protesa nelle uscite sugli attaccanti, parava e tirava rigori, esecutore eccellente.