Condivisibile lasciare il pallone al Parma ma non c’era un piano offensivo. In 75 minuti, il Napoli ha tirato 6 volte in porta (4 da fuori)
Una scelta o una necessità?
La partita tra Napoli e Parma, come ha scritto giustamente Massimiliano Gallo nel suo commento a caldo, non entrerà negli annali del calcio italiano. Né tantomeno di quello napoletano, ben più piccolo e meno importante. Perché, sostiene Gallo, «il risultato finale è l’unica buona notizia della serata: non vogliamo considerare la partita un test sulla condizione psico-fisica della squadra di Gattuso. Altrimenti si parlerebbe di test non superato».
È una visione condivisa anche da chi cura questo spazio d’analisi sul Napolista. Perché la prestazione del Napoli va fatta risalire al momento difficile nel rapporto tra società e staff tecnico-dirigenziale. Perché quella vista ieri allo stadio Maradona non è la squadra di Gattuso, quella che Gattuso ha in mente, quella che Gattuso ha schierato – o avrebbe voluto schierare – fino a questo momento. È una squadra diversa, che ha pensato, ha agito ed è stata guidata in maniera diversa. Dalle scelte di formazione e di modulo fino al modo di occupare il campo, di far progredire la manovra.
Non ci sarebbe niente di male, anzi chi cura questo spazio ha sempre sostenuto che il Napoli avrebbe dovuto giocare proprio così. Ovvero, avrebbe dovuto adattare il proprio approccio alle partite – scelte di formazione, modulo, spaziature, principi di gioco – in base alle caratteristiche degli uomini a disposizione, alla loro condizione, e all’avversario di turno. Contro il Parma, però, abbiamo assistito a una partita in cui il Napoli non ha scelto di giocare così. O meglio: Gattuso potrà anche aver creato un piano-partita ad hoc per affrontare gli avversari di turno, anzi sicuramente l’ha fatto. Ma si è trattata una decisione dettata dalle necessità. Dall’urgenza di fare punti. Dalla paura. Non a caso, le scelte operate dal tecnico calabrese sono state atte solo a ridurre i rischi. A bloccare gli avversari.
La rinuncia al possesso palla
Tanto per cominciare, Gattuso ha deciso di restaurare (di nuovo, dopo Napoli-Spezia) il 4-3-3/4-5-1. Con Elmas, Demme e Zielniski alle spalle dell’unico trio d’attacco possibile in questo momento – Lozano-Petagna-Insigne. In questo modo, si è schierato a specchio con il Parma, e non ha offerto, agli avversari, la minima possibilità di creare superiorità numerica in fase offensiva.
Nel frame in alto, il 4-3-3 puro del Napoli in fase offensiva; sopra, invece, il 4-5-1 in fase di non possesso, con distanze ridotte e grande compattezza al limite dell’area di rigore.
Come detto, però, i cambiamenti non si sono limitati agli uomini e al loro posizionamento in campo. Gattuso, evidentemente, non ha dimenticato quanto successo nella sfida del San Paolo del dicembre 2019, ma anche e soprattutto in quella giocata allo stadio Tardini otto mesi dopo, nel luglio del 2020, quando il Parma (di D’Aversa) riuscì a rendere del tutto inoffensivo il suo gioco di possesso, anzi vinse meritatamente la gara – pure con una certa facilità. Nella gara di ieri, il Napoli ha rinunciato per lunghi tratti a tenere il pallone. I numeri, in questo senso, non mentono: all’intervallo, il dato grezzo del possesso era in sostanziale parità (49-51% in favore del Parma); nella ripresa, la squadra di D’Aversa è salita fino al 55%.
Questa strategia è stata piuttosto intelligente. Per un motivo semplice: lasciare il pallone a giocatori come quelli del Parma – Gagliolo, Osorio, Conti, Brugman e poi Hernani, Kurtic, Gervinho, Kucka, Cornelius – vuol dire costringerli a praticare uno sport che non amano. Perché non sono elementi (molto) tecnici, perché preferiscono giocare in spazi aperti e non stretti. E infatti la squadra di D’Aversa non ha costruito una sola occasione al termine di un’azione pulita, lineare. Anche in questo caso i numeri non mentono: il Parma ha tentato solo 5 conclusioni verso la porta di Ospina in novanta e più minuti di gioco; solo uno di queste conclusioni, un improbabile colpo di testa di Gervinho, ha costretto il portiere colombiano a una (facilissima) parata.
Nel frame in alto, un’azione difensiva del Napoli con tutti gli undici calciatori di movimento sotto la linea del pallone, a presidio degli spazi; sopra, invece, i dati sul baricentro medio tenuto dalle due squadre nel corso della gara.
È evidente, anche dalle immagini in alto, come il Napoli abbia cambiato registro tattico. La squadra di Gattuso è arretrata sul campo, è rimasta molto corta e compatta: in questo modo ha potuto difendersi con grande ordine, senza manifestare scompensi. Soprattutto, ha evitato di concedere al Parma giocate in ripartenza, ovvero le situazioni migliori per poter sfruttare le qualità di Gervinho. Il resto degli uomini di D’Aversa, semplicemente, non aveva e non ha la caratura necessaria per andare oltre azioni elementari e immediate come quelle che si sviluppano in contropiede. Insomma, il Parma può e sa far male solo in un certo modo. E il Napoli ha avuto il merito di disinnescarlo.
L’assenza di gioco offensivo
Come detto in apertura, il cambiamento del Napoli va però letto e pesato nella sua totalità. E quindi la buona prova difensiva non può far dimenticare l’assenza di una strategia offensiva degna di questo nome. È come se Gattuso avesse studiato e attuato un piano gara limitato esclusivamente al contenimento degli avversari, e basta leggere i numeri per rendersene conto: i suoi giocatori hanno messo insieme un totale di 10 conclusioni verso la porta di Sepe, di cui solo 3 in porta (più il palo di Insigne). Il dato più significativo, però, è quello incrociato con il tempo di gioco: addirittura 4 di questi 10 tiri, praticamente la metà, sono arrivati nell’ultimo quarto d’ora di gioco. Quando gli schemi erano ormai saltati. Nei 75′ precedenti, il Napoli ha tentato 6 conclusioni totali. E 4 di queste sono state scoccate fuori dall’area di rigore.
Tutti i tiri tentati dal Napoli (e non respinti da un difensore del Parma)
Sono cifre davvero eloquenti. Che dicono tanto sul vero problema manifestato dal Napoli nel corso della gara col Parma: l’assenza di una strategia offensiva. Per trasmettere questo concetto, partiamo da una domanda (forse un po’ retorica, ma centrata): quale strumento tattico è stato adoperato dalla squadra di Gattuso in fase offensiva? Con quali meccanismi il Napoli ha cercato di mettere in difficoltà la difesa del Parma? Non c’è risposta a queste domande. O meglio: si fa fatica a trovarla, nei dati e nelle evidenze tattiche.
Se in tante partite, anche di questa stagione, il Napoli aveva mostrato di seguire ed eseguire un certo piano tattico – talvolta basato sul possesso, altre sulla ricerca di tracce verticali – contro il Parma non è andata così. Non a caso, le azioni dei due gol sono nate e si sono concretizzate in maniera piuttosto casuale, improvvisata: Elmas è partito palla al piede dopo un buon tocco in verticale di Demme e ha puntato la difesa da solo, con l’unico (intelligente) ausilio di Insigne, bravo a tagliare davanti al centrocampista nord-macedone per portare via uno dei difensori del Parma; Politano, invece, ha trovato lo spazio giusto per tirare in porta dal limite dell’area, ma l’ha fatto solo dopo una respinta corta della difesa del Parma; il cross da cui si è originata questa respinta, a sua volta, era la conseguenza di una rimessa laterale.
Il gol di Elmas
Oltre a queste occasioni, che come detto restano comunque abbastanza casuali, estemporanee, il Napoli non ha costruito nient’altro. L’unica altra azione lineare prima degli ultimi (confusi) minuti di gioco è stata quella che ha portato Lozano alla conclusione al volo dall’interno dell’area di rigore, dopo un cross dalla sinistra di Petagna – che di mestiere farebbe il centravanti, non certo il rifinitore o l’esterno offensivo.
Il Napoli non è diventato pragmatico, ha solo avuto paura
Questi dati e queste evidenze spengono ogni possibile entusiasmo, ma anche ogni minima considerazione di esistenza, in merito a una svolta pragmatica del Napoli di Gattuso. Come detto anche in apertura: quella vista contro il Parma non è la squadra di Gattuso; non è la squadra che Gattuso aveva e ha in mente. Soprattutto, non è la squadra che Gattuso ha sempre detto di voler costruire.
Non ci sarebbe nessun problema se avesse cambiato idea, se ora la sua idea di calcio fosse diventata più opportunistica, più speculativa. Ma una squadra opportunistica e speculativa, cosiddetta cinica nella narrazione giornalistica classica, ha un piano o una superiorità netta su cui poter speculare, su cui costruire il proprio opportunismo illuminato. Il Napoli, contro il Parma, aveva effettivamente un piano difensivo e una superiorità tecnica da poter sfruttare. E l’ha fatto. Ma quante altre partite potranno essere preparate in questo modo? Quanti altri avversari hanno la (bassa) qualità e le caratteristiche fisiche, tecniche e/o tattiche del Parma?
Il vero problema, però, non è neanche questo. Il Napoli e Gattuso, infatti, potrebbero anche aver scelto di imboccare questa strada, di iniziare a praticare un calcio (sempre) speculativo, attento in difesa e tendenzialmente improvvisato in attacco. Solo che questa strada è stata imboccata in via del tutto straordinaria, ed emergenziale, per la partita contro il Parma. Come unica e ultima opportunità di salvezza, in un momento dominato dalla paura. Quella paura che il Napoli e Gattuso hanno trasmesso in maniera compiuta negli ultimi minuti di gioco, quando Maksimovic è entrato al posto di Elmas e la squadra si è schierata con tre difensori centrali. Non era mai successo, da quando Gattuso è subentrato ad Ancelotti.
La difesa a cinque (più Bakayoko come schermo) nel finale di partita.
La scelta di far entrare il difensore serbo è del tutto similare ai (comici) ingressi di Llorente nelle sue ultime gare con la maglia del Napoli. Certo, magari Maksimovic non è fuori dal progetto come Llorente; certo, l’urgenza di difendere un risultato così importante vale come la necessità di riprendere partite come quelle contro Spezia, Torino, Udinese – quelle a cui Llorente ha partecipato negli ultimi minuti. Inoltre, va aggiunto anche che la decisione di far entrare Maksimovic ha effettivamente portato dei benefici, ha permesso al Napoli di difendersi con più uomini e maggiore ordine in un momento in cui la stanchezza la faceva da padrone.
Ma il punto è proprio questo: il Napoli non può pensare di arrivare agli ultimi minuti della sfida contro il Parma – penultimo in classifica – con un solo gol di vantaggio. Cioè, può anche succedere, ma nel frattempo deve aver attuato almeno due o tre strategie diverse per inseguire il raddoppio. È così che gioca una squadra pragmatica. Non a caso, la definizione del termine pragmatismo è: atteggiamento improntato a una visione realistica e pratica, finalizzato a ottenere, talvolta anche in modo spregiudicato, risultati concreti. Difficile rintracciare questo atteggiamento nel Napoli di ieri.
Gattuso, ieri, ha messo in campo una squadra completamente bloccata nella sua espressione offensiva. Che ha lavorato solo sulla compattezza difensiva. Che all’improvviso ha trovato il gol del vantaggio e ha preferito salvaguardare quel risultato striminzito, piuttosto che chiudere la partita e poi riposarsi davvero, nelle gambe e nella testa. Con i tre punti messi al sicuro, dall’alto della propria forza, della propria superiorità, del proprio piano-gara fatto di difesa e ripartenza – non c’è niente di male, perché no?
Conclusioni
Al netto delle promesse non mantenute di De Laurentiis e/con Gattuso – ricordate la Grande Bellezza e il Calcio Pensante? – è evidente che il Napoli di oggi sia una squadra che non ha ancora un’identità. Questo non vuol dire che debba essere una squadra identitaria: secondo chi scrive, infatti, non è necessario che il Napoli giochi sempre e solo con mentalità offensiva, puntando tutto sul possesso palla; potrebbe anche essere una squadra a vocazione difensiva-speculativa, anzi forse dovrebbe proprio un’entità mutevole, dovrebbe cambiare uomini e approccio e meccanismi a ogni partita, all’interno di ogni partita – non c’è e non ci sarebbe altro modo per sfruttare una rosa come quella costruita da De Laurentiis e Giuntoli.
I cambiamenti operati finora da Gattuso, però, non sono mai stati continui, veramente convinti, quindi convincenti. Contro il Parma, ieri, è stata la paura a spingere il tecnico calabrese a prendere certe decisioni, a scegliere certi uomini e un certo stile di gioco. Quando invece il Napoli dovrebbe essere in grado di giocare partite così – o anche in altri modi – in base al proprio gusto e alle condizioni dei propri giocatori.
Certo, Gattuso ha degli alibi importanti: l’assenza combinata di Osimhen e Mertens; il fatto che si giochi ogni tre giorni e quindi ci si alleni pochissimo; la difficoltà di assemblaggio di una rosa a dir poco incoerente. Ma i progetti tattici, identitari o mutevoli che siano, servono proprio a trovare le contromisure a questi contrattempi. E se il Napoli si fa dettare il proprio progetto tattico dalla paura, tra l’altro contro il Parma visto ieri allo stadio Maradona, vuol dire che c’è qualcosa che non va. E infatti i risultati di questa stagione sono stati altalenanti, raramente convincenti, mai davvero continui. Proprio come le scelte e le idee e le strategie di Gattuso.