Quasi nessuno si manda a quel Paese, questo è il virus e non è colpa di Gattuso. Il Napoli sembra il quadro di una playstation mediocre
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C’è un virus nel Napoli calcio che sfugge a test antigenici ed a tamponi molecolari: è la mancanza di voglia dei calciatori. È la paura di verticalizzare o di cercare un compagno sotto palla. Quasi nessuno si manda a quel Paese nel Napoli: tutti applaudono quando un compagno sbaglia clamorosamente il passaggio. Il Napoli sembra il quadro di una playstation mediocre: con quel Mario Rui che cerca arabeschi sotto il sette d’esterno, ma non è Eder… Gli unici che cantano e portano la croce sono Irving Lozano: la bambola che neanche la Bottega partenopea avrebbe potuto riportare a nuova luce e Diego Demme questo moderno – nel senso di odierno – cavallino arabo che corre avanti ed indietro e che si scaglia in area o si appoggia sugli esterni per passaggi di senso. Gli altri svolgono il compitino e si sentono deresponsabilizzati: come transfughi parlamentari che si appellano ad anticostituzionali mandati imperativi.
C’è un virus nel Napoli che non è nato nel laboratorio Gattuso ma si è infiltrato nella paura e nelle menti di giocatori non scossi dalle tribune vuote. C’è troppa virtualità nel gioco-non gioco del Napoli: come se i protagonisti non avessero mai vissuto l’evento agonistico. Mai preso randellate da stopper irsuti o da medianoni con i piedi piatti. A questo Napoli non servirà neanche vaccinarsi per immunizzarsi dal virus: perché solo la voglia di giocare, sudare e lottare potrà riportarci il vero Napoli. Quello che ora vediamo è sospeso in un suo Lockdown immaginario.