Intervista a Libero dopo che le figlie sono andate dalla D’Urso a lamentare l’assenza del papà. Lui è stato squalificato a vita per cocaina, ora fa l’operaio

Jonathan Bachini è rispuntato all’improvviso. Evocato come succede adesso: da Barbara D’Urso. Le figlie sono andate in tv a fare la reprimenda al papà assente. E’ un filone che sta dando molte soddisfazioni in fatto di audience ultimamente. Il “caso” Zenga&figli ha aperto un sentiero da battere.
Solo che Bachini ha suo modo una storia esemplare. Era a 23 un laterale d’attacco di talento: Brescia, Udinese, la Juve, la Nazionale. E poi la cocaina: beccato due volte, e infine squalificato a vita. Da giovane miliardario è finito a fare il cameriere, il barista. Ora fa l’operaio in un cantiere navale. E parla a Libero di questa sorta di rinascita silenziosa, che sperava restasse tale fino a quando le figlie non sono andate in tv.
«Credo che in termini di audience parlare delle criticità nelle famiglie serva ad intrattenere il pubblico incollato alla televisione, lo abbiamo visto con l’affaire Zenga; detto questo non mi aspettavo minimamente un comportamento da parte loro di questo tipo. Certe cose, a mio modesto modo di vedere, si risolvono tra le mura domestiche e soprattutto non ridando in pasto la mia vita passata fatta di dolore. Ho rivisto, nel servizio che precedeva l’intervista, gli errori che ho commesso e a cui ho rimediato con umiltà e tenacia. Non c’era nemmeno un tratto di chi sono ora e di quello che faccio perché, come sempre accade, il bene non fa ascolti. Per questo mi sono sentito umiliato».
«Io ho commesso errori anche da genitore e come sempre mi assumo la responsabilità di ciò che faccio ma loro sanno che, fino a due anni fa, io ci sono sempre stato. Facevo mille chilometri al giorno per poter stare con loro anche se dovevo farmi prestare i soldi della benzina e dell’autostrada da qualche amico per raggiungerle. Tra noi c’è sempre stato un grande amore e penso che non sia del tutto vera la loro narrazione. Ma questo non toglie che mancano anche a me e che sarei felice di poterle riabbracciare».
Ha una nuova vita Bachini:
«Da sei anni lavoro al Porto di Livorno come operaio e prima ho fatto il barista e cameriere. È stata durissima… Prima di tutto è stato faticoso affrontare chi mi amava e dovermi giustificare degli errori commessi. Mi vergognavo, sono stato trattato come il Totò Riina del calcio! Ho fatto uso di stupefacenti ma non legati alle partite di calcio ma nella vita quotidiana, in modo saltuario e personale. Ad un test antidoping sono stato trovato positivo alla cocaina e sono stato sospeso. Era la stagione 2004/2005 e il 26 novembre 2004 sono stato squalificato per nove mesi e licenziato dal Brescia, la squadra per cui giocavo. La squalifica viene poi aumentata a un anno dalla Commissione d’appello Federale».
Va al Siena ma ci ricasca:
«Nel gennaio del 2006 ricado nello stesso gorgo della cocaina. Il Siena nel mese successivo rescinde il contratto ed io vengo dapprima sospeso in via cautelativa, era il 3 marzo 2006, e infine squalificato a vita, con conseguente radiazione, il 30 dello stesso mese. E’ stata una mazzata terrificante. Sensi di colpa verso la mia famiglia, i miei figli e nei confronti di chiunque mi volesse bene e avesse riposto fiducia in me. Ci sono ricaduto per delle leggerezze e delle casualità. Non sono mai stato un “tossico” e non ho mai avuto bisogno di andare in un centro per farmi disintossicare. Era veramente e stupidamente casuale».
Ora è tutto cambiato.
«Ho ormai da anni una vita normale dove mi spacco la schiena tutti i giorni facendo l’operaio. Però sono contento di questo. La cosa vera è come il mondo del calcio mi ha trattato… Senza fare nomi io credo che ci siano stati tanti ex colleghi che facevano uso di cocaina e mai sono stati radiati a vita; questa la trovo una grande ingiustizia. Anche le persone responsabili di aver venduto le partite non sono state radiate!».
Amici nel mondo del calcio?
«Quelli no tranne Edoardo Piovani e Antonio Filippini che ancora adesso sento. Quasi tutti gli altri sono scomparsi. A volte il successo arriva tanto presto. A ventitré anni ero convocato in nazionale e giocavo nella Juventus, spesso alcuni di noi non sono capaci di gestire tutto questo e, anche momentaneamente, si perdono. Penso però che se io avessi sempre e solo fatto l’operaio tutto questo non sarebbe successo. Sono sempre i figli di Zenga o di persone famose che sono richiesti in televisione, non altri».