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L’immobilismo di Napoli, i suoi giovani, e Politano in Nazionale

Una città che da quarant’anni insegue il sogno turistico, sforna pizzetterie e friggitorie, quindi giovani con sogni obbligatoriamente limitati

L’immobilismo di Napoli, i suoi giovani, e Politano in Nazionale

Qualche breve premessa:

  • A mio avviso l’Italia affronta un declino lungo grosso modo quarant’anni (anche nel calcio);
  • Un declino è una tendenza generale. Uno, due o enne picchi non sono significativi;
  • Napoli, in quanto realtà povera del paese, conosce un declino simile che spesso è stato reso più critico a causa delle sue peculiari debolezze economiche e culturali;
  • Non credo esista una ricetta per invertire un ciclo storico, semplicemente il mondo gira come gli pare e in modo largamente indipendente dalle decisioni di una qualunque realtà locale;
  • Da quarantacinquenne, non ritengo che la mia generazione sia stata particolarmente d’aiuto nelle sue velleità di cambiamento, fallendo esattamente come le generazioni precedenti.

Ciò detto, due cose mi sono balzate all’occhio negli ultimi giorni: una interessante recente intervista a Massimiliano Virgilio sul Napolista, in cui ci si interroga sul chi siano i giovani della città e perché si creda che su di loro si debba investire per il famoso rilancio; e la richiesta di una parte di questi stessi giovani di considerare Politano per un posto in nazionale.

Partiamo da quest’ultima notizia: essa è indicativa del dove si trovino, oggi, il senso estetico e le ambizioni della parte più giovane che risiede in città. Esistono dei dati oggettivi: uno è che, senza alcuna antipatia specifica per l’attuale numero 21 azzurro, in quelle zone del campo fino a poco fa correva un certo Callejon. Poi ti fermi a considerare che di questi tempi stiamo rimpiangendo Zapata, che pure all’epoca era il meno dotato degli attaccanti del Napoli. Ed il piano inclinato torna.

Sul primo tema, invece – il famoso ed eterno investimento sui giovani – il Virgilio intervistato osserva una verità tanto inconfutabile quanto mai discussa: ossia che sono decenni che, a fronte di questa grande volontà di supporto delle giovani generazioni, in Italia i governi, le istituzioni, persino gli intellettuali continuano a predicare la necessità di puntare sul turismo. È una corsa inesorabile declinata con voci sempre nuove: rivalutare le nostre bellezze; sfruttare il patrimonio: far emergere la cultura millenaria. In sostanza è una corsa alla provincializzazione di tutti, i più giovani in primis. Si omette infatti l’ovvio, cioè che sono quarant’anni che con questo tema del turismo stiamo cercando di trasformare l’Italia (e con essa Napoli) in un luogo abitato da sessanta milioni di camerieri. Non so se qualcuno se n’è accorto.

Certo sono cosciente della levata di scudi: le associazioni professionali, i singoli cittadini, i partiti politici, tutti si affretteranno a dirvi e dirci che la ricettività è un’arte, che il turismo è un business da miliardi di euro, che tutti i lavori sono utili e decorosi. Però nessuno tra chi lo dice, stranamente, il cameriere lo ha fatto, lo fa o ha in piano di farlo in futuro.

Il medesimo iato tra realtà e fiction esiste anche sul tema Politano: il Matteo è un giocatore medio. Non fa sognare. Basta andare indietro di qualche mese, di pochi anni, guardare cosa era il Napoli in quella zona del campo e capirlo, non è necessario essere un almanacco calcistico vivente. È un gran lavoratore, ha passione, spero il meglio per lui. Ma laboriosità e vivacità non sono doti particolarmente pregiate, non conducono da nessuna parte davvero interessante. Il buon Politano viene oggi incensato per banali motivi strumentali e su di lui vengono adoperati tutti i famosi corollari del vittimismo retorico, perché anche la società del Napoli ha puntato alla irrilevanza locale, a quello che la politica ci vende e vi vende da decenni con il termine “turismo”.

La felicità di avere in squadra Politano è la stessa che accoglie l’apertura di decine di nuove pizzerie, centinaia di nuove friggitorie, migliaia di alberghi sul mare magari dopo la imminente bonifica di Bagnoli per rendere Napoli un meraviglioso luna park per il mondo che gioca in Champions, che qualcosa conta e continua a decidere anche per Napoli, luogo dove ci si interessa poco del posto che occupano in ambito nazionale le nostre università, le strutture delle nostre scuole, dove poco ci si chiede quanti articoli scientifici vengano pubblicati da ricercatori che vivono e lavorano in città o quale sia il valore a livello mondiale della musica, del cinema, della letteratura che si producono da queste parti. Politano va in nazionale quando il clima è quello della difesa della settimana tipo. Quando il turismo è la ricetta economica. Sono temi paralleli, mi chiedo se siano davvero distinti. Mi chiedo cosa ne pensino i più giovani.

Voglio essere chiaro: il problema non è certo Matteo Politano al quale auguro tutte le fortune. Né è fare il cameriere. Il problema è che farlo a lungo non è consigliabile per nessuno. Perché i lavori che misurano la vitalità di una città sono quelli che permettono di stimolare la creatività in qualunque sua forma. E certo potete ascoltare i molti che vi diranno che anche servire ai tavoli può essere creativo. Io mi permetto di sostenere che sia una sciocchezza. Ci sono lavori che sono (giustamente) temporanei, così come ci sono giocatori (necessari) che un tempo si chiamavano gregari. Non è certo un peccato. Lo è considerarli invece permanenti o nazionali.

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