Libero intervista Thomas Manfredini, ex difensore dell’Atalanta, oggi nel mondo dell’ippica. «Tra una squadra e la mia scuderia non avrei dubbi: allenerei la scuderia».

Libero intervista Thomas Manfredini, ex difensore dell’Atalanta. Accantonato il calcio, si è spostato nell’ambito dell’ippica. La passione per i cavalli l’ha sempre avuta, fin da bambino. Parla delle analogie e differenze che ci sono tra calcio e cavalli.
«Sono due grandi passioni e prima di tutto due sport. In fatto di differenze l’unica in favore del pallone è che il mondo del calcio non è mai autoreferenziale, mentre l’ippica si è chiusa in un ghetto che da oro diventa sempre più povero e privo di status e di appeal per l’esterno, quando invece avrebbe enormi potenzialità. Per il resto, dovessi scegliere, per esempio, se allenare per una squadra o la mia scuderia non avrei dubbi, sceglierei la scuderia: i cavalli sanno essere spesso migliori degli uomini e sempre, comunque, in buona fede, schietti, senza secondi fini».
L’ambiente dell’ippica, però, andrebbe «rivoltato come un calzino».
«Propone le stesse persone e la stessa routine, si guarda l’ombelico e ai record di un giorno, a volte non si tengono abbastanza in conto il vero protagonista, che è il cavallo e il suo benessere, né il marketing e lo spettacolo, né l’immagine che in questo caso è sostanza. C’è troppa chimica e anche a caso, troppa corda per i veterinari, come del resto nel calcio si è ostaggi dei procuratori e magari i club affidano giocatori pagati milioni di euro a staff medici non all’altezza. E poi, tornando all’ippica, in Italia c’è uno sfruttamento intempestivo del cavallo atleta, per una programmazione che ha del demenziale e non rispetta la crescita, la formazione e la psiche di chi deve correre».
E continua:
«Nel trotto si fanno debuttare i cavalli a giugno, spesso su piste non adatte, dietro autostart lanciati a velocità sbagliate e si distribuiscono troppi soldi per le gare che, fossero di atletica leggera, sarebbero quelle dei bambini. A due anni oltre alla testa, come quella di un bimbo, anche il fisico non è formato. Comunque quello di voler tamponare situazioni che poi si aggravano è un vizio comune al calcio e un po’ alla società intera che pensa al tutto e subito. Anch’io, da calciatore, ci sono cascato e se non avessi forzato più volte il recupero, non avessi tamponato traumi e dolorini con i farmaci e la fretta, probabilmente starei ancora giocando oggi che ho 40 anni».