In tanti anni di coppe, non c’è stata alcuna crescita dal punto di vista culturale-sportivo, siamo rimasti euroscettici dentro

Siamo quel che mangiamo e siamo anche quello cui ambiamo. Se la nostra ambizione è il quarto posto, viviamo da quarto posto, pensiamo da quarto posto, ci comportiamo da quarto posto. Ricordiamo ancora le parole di Ulivieri quando fu alla guida del Napoli in Serie B. “Io sono un allenatore di Serie B e voi siete giornalisti di Serie B”.
L’altro giorno Mario Sconcerti ha evidenziato uno dei drammi – sportivi s’intende – del calcio italiano: non si compete più per vincere ma per il quarto posto. Oggi torna sul concetto Ivan Zazzaroni. Non vogliamo noi demonizzare l’aspetto economico: chi ci segue, sa che non potremmo mai farlo; vorremmo però che non si usasse l’Europa come un ascensore da cui si sale e si scende a piacimento. L’Europa non può essere soltanto un balsamo di bilancio, dev’essere anche un’occasione di crescita dal punto di vista sportivo. Altrimenti non serve a niente. E francamente a Napoli l’Europa viene quasi sempre vissuta come un peso, oppure come un’occasione di gala modello pranzo fantozziano (come fu nel caso di Napoli-Real Madrid). In tanti anni di Europa, non c’è stata alcuna crescita dal punto di vista sportivo-culturale. Il pensiero dominante resta quello euroscettico. Viene da cadere le braccia. La distorta conseguenza dell’italico modo di pensare è che si finisce con l’abbandonare le coppe europee per dedicarsi al raggiungimento del bonus Champions. Perché gioire per una qualificazione in Champions se poi l’obiettivo non è far bene in Champions?
Oggi in Italia ci sono sei squadre in lizza per tre posti: Milan, Juventus, Atalanta, Napoli, Roma, Lazio. Di queste, soltanto la Roma è ancora in gara in Europa, le restanti sono tornate a casa. Alcune, come il Napoli, sono persino contente di non aver più il doppio impegno. Possono così dedicarsi alla settimana tipo: nuova aberrazione del racconto giornalistico vesuviano che si distingue sempre per sagacia. Narrazione che adesso sta enfatizzando il quarto posto come se fossimo in corsa per la finale di Champions.
La qualificazione Champions è certamente un obiettivo della società. De Laurentiis lo considera prioritario e fa bene dal suo punto di vista. Quel che però non torna è l’enfasi sulla fine di mondo in caso di mancata qualificazione alla Champions. E, lo ripeteremo all’infinito, soprattutto considerando il nostro comportamento in Europa. Facciamo la corsa per andare in Champions e poi una volta in Champions ci dedichiamo al campionato. Il giorno della marmotta.
Tra l’altro, i fatti dicono chiaramente che il Napoli non è affatto finito dopo aver mancato la qualificazione al ricco torneo. Verrebbe quasi da dire meno soldi in bilancio aguzzano l’ingegno.
Dopo la prima, esaltante, esperienza Champions con Mazzarri, il Napoli non si qualificò perdendo a Bologna. Finì al quinto posto. La stagione seguente – 2012-2013 – fu tutt’altro che desolante. Il Napoli arrivò secondo in campionato. Se pensiamo all’esaltazione per l’attuale quinto, a quei tempi avremmo dovuto festeggiare in strada per una settimana.
La seconda stagione in cui non abbiamo disputato la Champions è stata la seconda di Benitez (2014-15) dopo la sconfitta nel preliminare di Bilbao. Stagione che venne bollata come fallimentare ma che – rapportata a quella attuale di Gattuso – va considerata trionfale. Il Napoli vinse la Supercoppa, raggiunse la semifinale di Europa League dove fu fermato da un arbitraggio più che discutibile, perse in semifinale di Coppa Italia contro la Lazio e arrivò quinto in campionato complice un rigore sbagliato all’ultima partita. Fu una stagione intensa, giocata peraltro senza portiere per una scelta suicida della società che non volle rinnovare il contratto a Reina.
Dopodiché arrivò Sarri e, visto il quinto posto dell’anno precedente, furono due le stagioni consecutive senza Champions. Non ci fu alcun tracollo del Napoli. Arrivammo secondi in campionato, in corsa per lo scudetto fino a metà febbraio dopo il gol di Zaza. In Europa League di fatto non esistemmo, come da consolidata tradizione.
Infine arriviamo alla stagione attuale, senza Champions a causa del settimo posto dello scorso anno. Questa sì è una stagione mediocre, men che mediocre. Nonostante una ricca campagna acquisti – circa 150 milioni tra gennaio e l’estate (senza Champions eh) – rinforzi mirati e pochissime cessioni peraltro fortemente volute, come quelle di Allan e Milik. Gattuso ha avuto a disposizione la rosa più profonda dell’era De Laurentiis e, come evidenziato da più statistiche, è stato falcidiato dagli infortuni in misura decisamente inferiore rispetto a quanto alimentato dai media compiacenti. Eppure il Napoli ancora oggi è fuori dalle prime quattro. Sono giorni in cui è diventata più intensa la narrazione da Film Luce che paragona la Champions alla conquista della Libia. Narrazione che fa seguito a quella – naufragata miseramente – che voleva Gattuso pronto a rinovare col Napoli. Mancava solo la penna. Penna che non è mai stata trovata.
Forse è il caso di ricordare due cose. La prima è che la stagione del Napoli resta mediocre, ampiamente mediocre dal punto di vista sportivo, anche con il quarto posto. Del resto è stato considerato da buttare il secondo posto di due anni fa, non vediamo perché dover esultare per un eventuale quarto posto adesso.
Il Napoli, grazie a una oculata politica aziendale, è solido. Non verrebbe di certo travolto dalla mancata qualificazione Champions. E non tutto il male verrebbe per nuocere. Ogni ripartenza ha bisogno di un trauma. Senza trauma, non si cambia realmente direzione. Il Napoli ha bisogno di avviare quel processo di rinnovamento che attende ormai da tre anni. Il Napoli deve far entrare aria nuova e De Laurentiis deve ricominciare a prendere scelte impopolari. Lo abbiamo già detto: il declino è cominciato quando ha preso decisioni in sintonia con l’umore della piazza. Lo diciamo nell’interesse del Napoli e di noi tifosi del Napoli. A meno che il nuovo obiettivo di De Laurentiis non sia la costruzione di un Napoli identitario e perdente.