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Svedesi, juventine, lesbiche, incinte. In Italia sono un “mostro” da sbattere in prima pagina

Il risalto dato dai giornali alla gravidanza di Lina Hurtig e Lisa Lantz è il sintomo evidente di una arretratezza endemica, soprattutto perché inconsapevole

Svedesi, juventine, lesbiche, incinte. In Italia sono un “mostro” da sbattere in prima pagina

Lina Hurtig e Lisa Lantz non hanno ancora ben chiaro se troneggiano sulla prima pagina del Corriere della Sera (e di altri quotidiani nazionali) in quanto calciatrici, in quanto svedesi, in quanto lesbiche, in quanto sposate, in quanto incinte, in quanto gravide per fecondazione eterologa, o in quanto – che dio le perdoni – juventine. Probabilmente per tutto il pacchetto. Una combo micidiale per la povera società italiana, è comprensibile. Le due sventurate avrebbero conquistato quella posizione nella gerarchia delle nostre notizie anche solo per uno dei dettagli pruriginosi di cui sopra.

La cronaca ci ricorda che le due donne diventarono “un simbolo”  già nel 2019, “durante i Mondiali  femminili di calcio in Francia, quando la foto di un loro bacio a bordo campo dopo la vittoria contro la Gran Bretagna, entrambe con la maglia della nazionale svedese” divenne virale.

“La gente – spiega Lantz – veniva da me sugli spalti e mi chiedeva della nostra relazione, dicendomi che era un’ispirazione vedere che potevamo essere così aperte. Quando mi hanno anche chiesto com’era per noi a casa in Svezia, sono rimasta stupita che un paese come la Francia, per esempio, non sia ancora andato avanti con questa cosa”. Figurarsi l’Italia, col target dei lettori fermi alle edicole, impalati a scegliere quale giornale acquistare in funzione del titolo più allarmistico. Sì, ce lo raccontiamo ancora così, il mercato dell’informazione. L’atmosfera è quella dell’Amica geniale.

Non stupisce dunque che due femmine che si riproducono, per giunta svedesi, si prendano la copertina del Corsera. Non siamo mai davvero usciti dallo schema “bagnino vitellone concupisce selvaggia turista nordeuropea contribuendo così a dare lustro al made in Italy”. Ma questo è uno scatto ulteriore: dare quel risalto a quella notizia è il sintomo evidente di una arretratezza endemica, soprattutto perché inconsapevole. Ci crediamo fighi perché diamo visibilità ad una storia così “moderna”, quando in realtà proprio per questo palesiamo tutta la nostra vetustà culturale. Fosse una cosa “normale” – ci affanniamo per scriverlo a caratteri cubitali, che nel 2021 è NORMALE – non ci sarebbe bisogno di farne una notizia. No?

No. Lo stesso pezzo del Corriere sottolinea che “la Juventus sostiene in tutto le sue calciatrici”. E ci ricorda che “se il bambino nascerà in Svezia, verrà subito riconosciuto come figlio delle due mamme. In Italia la legge non lo prevede e la Corte costituzionale nei giorni scorsi ha lanciato un severo monito alla politica perché si sbrighi ad approvare una norma in merito”.

Dice Lina – quando i giornali italiani raccontano storie di donne, per di più gay, a parlare sono solo i nomi di battesimo. Lina… Lisa… – dice Hurtig, insomma, che “Se questo può essere d’ispirazione per qualcun altro mi sta bene, ma non mi vedo come un modello”.

E invece noi sì. E baldanzosi sbattiamo il trofeo del nostro anticonformismo in faccia a tutti, rivoluzionari che siamo. Con quest’ansia di procurarci sempre un modello, un esempio, un simbolo, che mostri drammaticamente al mondo ciò che non siamo: attuali.

La notizia non è la gravidanza di due calciatrici che si amano e che figliano – nonostante siano della Juventus. La notizia (una pessima notizia) è il nostro provincialissimo omaggio risonante a questa banale e gioiosa cosa della vita. Come se, appunto, non fosse vita e basta.

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