Nella ripresa più intensità. Ma l’azione del Napoli è ripetitiva e quindi prevedibile. La squadra di Gattuso è stagnante, non va mai oltre sé stessa
Juventus e Napoli sono squadre molto simili
Juventus e Napoli si sono presentate allo scontro diretto con gli stessi punti in classifica, ma anche con gli stessi pregi e (soprattutto) gli stessi difetti. In questa rubrica, da tempo evidenziamo come Gattuso abbia avuto a che fare, fin dall’inizio di questa stagione, con una rosa di buon livello che però è stata costruita male, cioè è stata assemblata male, senza nessun tipo di coerenza tattica.
La situazione di Pirlo non è stata e non è molto diversa: ieri, nel match contro dell’Allianz Stadium, il tecnico della Juventus ha schierato – ha dovuto schierare – un portiere che, anche per limiti d’età, fa fatica ad accorciare il campo difensivo e a giocare il pallone con i piedi (Buffon); un centrale che ama difendere basso, nella propria area di rigore (Chiellini) e uno cresciuto nel vivaio dell’Ajax, quindi nella patria del pressing, della terza linea posizionata a centrocampo o giù di lì (De Ligt); due mezzali di possesso nel doble pivote (Bentancur e Rabiot) e due esterni che amano giocare in campo lungo (Cuadrado e Chiesa).
Anche la Juventus, dunque, è una squadra incoerente. O meglio: ha una rosa incoerente. Fin dal suo insediamento sulla panchina bianconera, Pirlo – che non sarà un allenatore d’esperienza, ma di certo non è uno stupido – ha sempre detto che la sua squadra avrebbe dovuto giocare con intensità. Era, o sarebbe stata, una scelta dettata dalla volontà di allinearsi al calcio internazionale. Ma, a questi livelli, cercare di alzare il più possibile il ritmo di gioco serve anche a mascherare l’assenza di sovrastrutture tattiche. Niente di più, niente di meno di quanto avrebbe dovuto fare il Napoli di Gattuso. Solo che gli è riuscito troppe poche volte, in questa stagione.
Quanto conta l’intensità
Ieri la Juventus ha “vinto il primo tempo”, e poi ha portato a casa la partita, perché tra le due squadre in campo è stata quella più intensa. È così che ha potuto nascondere i suoi (pur evidenti) difetti. Il Napoli, invece, ha pagato – per l’ennesima volta – l’assenza di un piano tattico che andasse oltre la costruzione dal basso e il gioco sulle catene laterali, oltreché un approccio troppo morbido alla partita. Quando ha iniziato ad alzare i ritmi per davvero, nella ripresa, ha costruito qualche occasione da gol in più, ma a quel punto il risultato era già compromesso – anche a causa del maggior talento a disposizione della Juventus e di Pirlo, che ha trovato in Dybala il sostituto giusto in panchina.
Tutti i palloni giocati da Juventus (in alto) e Napoli (sopra) nel primo tempo.
Come si vede chiaramente dai due campetti appena sopra, riferiti solo al primo tempo, la Juventus ha giocato più palloni in area di rigore rispetto al Napoli (14-8); ha tentato più volte la conclusione (8-4), soprattutto dall’interno dei 16 metri (4-1); è andata più volte sull’esterno, ha servito più cross (7-5) e soprattutto è riuscita a giocare molti più passaggi in avanti (203-178). Quest’ultimo è il dato più significativo, quello che restituisce e definisce meglio l’andamento del primo tempo giocato all’Allianz Stadium: la squadra di Pirlo, pur con un piano-partita piuttosto elementare (fondato sulla costruzione dal basso e sulla ricerca immediata degli esterni, soprattutto con passaggi di gittata medio-lunga), ha cercato e trovato il modo per attaccare il Napoli, o meglio per mettere in condizione i suoi uomini migliori, quelli più in forma (Cuadrado e soprattutto Chiesa), di far male alla difesa azzurra.
Un’azione semplice semplice, che poi diventa bellissima grazie al talento e all’esuberanza di Chiesa
E se volessimo trovare e analizzare la strategia del Napoli? Quale sarebbe? Qual era l’idea di Gattuso per attaccare gli avversari, per vincere la partita? Difficile capirlo dalla formazione iniziale: nell’ormai consolidato 4-2-3-1/4-4-2 – no, il Napoli non si è mai schierato con il 4-3-3/4-5-1 come ipotizzato dai media prima e durante la gara – hanno trovato posto un terzino schierato a piede invertito (Hysaj); un esterno d’attacco che ama giocare in campo aperto (Lozano); e poi Koulibaly, Demme, Fabián, Zielinski, Mertens e Insigne, tutti giocatori che (teoricamente) preferiscono un calcio di possesso, più Meret, Di Lorenzo e Rrahmani.
Difficile definire un quadro d’insieme, partendo da questi nomi: l’idea di rallentare i ritmi della Juventus con il possesso palla cozzava con la qualità rivedibile – per non dire scarsa – di Hysaj e Lozano nello stretto; qualsiasi tentativo di alzare il pallone veniva strozzato dalla maggiore prestanza fisica dei giocatori della Juventus; si sarebbe potuta cercare la strada del gioco diretto e verticale, una buona idea vista l’aggressività della Juventus – un atteggiamento che determina inevitabilmente ampi spazi dietro le linee di pressione. Ma, dopo un inizio incoraggiante in questo senso, il Napoli ha preferito tornare a tessere la sua classica tela.
La costruzione bassa funziona, certo, ma può anche portare a un bel pallone servito in verticale verso Lozano.
Ecco cosa intendiamo: con un solo passaggio in verticale alle spalle della difesa avversaria, il Napoli ha alzato l’intensità e ha scompaginato la fase passiva della Juventus. Non a caso, viene da dire, questo di Zielinski è stato l’unico tiro del primo tempo che gli azzurri hanno tentato dall’interno dell’area di rigore. Tutte le altre (mezze) occasioni costruite nei primi 45′ sono nate da manovre più lente, più ragionate. Manovre a cui la Juventus ha saputo opporsi con facilità.
Non è solo una questione dicotomica tra possesso palla e gioco diretto, ma è evidente – già da tempo, almeno nell’ambito di questa rubrica – che il Napoli diventi una squadra più pericolosa, più efficace in fase offensiva, quando riesce a tenere alti i ritmi del proprio calcio. Quando velocizza l’esecuzione delle sue giocate. Questo può avvenire anche con soluzioni (più) immediate, come per esempio il lancio lungo che vedete sopra, oppure muovendo molto velocemente il pallone, se proprio non si può rinunciare all’idea di risalire il campo con molti passaggi.
Ecco, ieri il Napoli del primo tempo non ha fatto nessuna di queste due cose: pochi passaggi lunghi (19, contro i 29 della Juve) e, come detto sopra, meno appoggi in avanti rispetto agli avversari. Questi numeri sono i sintomi di una lentezza che può trovare uno sfogo, uno sbocco offensivo, solo nel talento dei singoli. Solo che, ieri, nessuno dei giocatori di qualità a disposizione di Gattuso è stato in grado di incidere davvero. Come invece è riuscito a Chiesa, aiutato però da una squadra – la Juventus, ovviamente – semplicemente più vivace e più incalzante nella sua proposta di gioco.
La ripresa e il cambio di passo
Il discorso che abbiamo fatto finora viene avvalorato da quanto successo nel secondo tempo. Il Napoli, infatti, è rientrato in campo dopo l’intervallo con un piglio diverso, non solo dal punto di vista emotivo, ma anche dal punto di vista tattico. I numeri non mentono mai, e anche in questo caso sono una certificazione delle sensazioni: nei secondi 45′ di gioco, la squadra di Gattuso ha tirato 10 volte verso la porta di Buffon, contro i 4 tentativi avversari; 5 di queste conclusioni sono state scoccate dall’interno dell’area di rigore, e 4 hanno centrato lo specchio della porta; inoltre, il Napoli ha superato nettamente la Juventus per numero di passaggi in avanti (195-125) e ha anche migliorato il dato della precisione nella trasmissione del pallone (dall’87% del primo tempo fino al 90%).
Se i dati non bastassero, ecco la differenza nel baricentro tra primo e secondo tempo
Anche i cambi hanno aiutato: l’ingresso di Osimhen ha dato subito maggior profondità e ha anche offerto soluzioni diversificate, mentre Politano è apparso più in forma di Lozano. È bastato poco, dunque, perché il Napoli manifestasse un evidente cambio di passo, un aumento dell’intensità offensiva, solo che questo non ha portato a un reale cambiamento nei principi di gioco. Infatti, dati alla mano, la squadra di Gattuso ha continuato a costruire gioco principalmente sulle fasce (Insigne e Di Lorenzo sono i calciatori con il maggior numero di palloni giocati nella ripresa, 41 e 42) e a preferire manovre più ragionato: se nel primo tempo, il rapporto tra passaggi corti e passaggi lunghi era stata di un lancio ogni 14 appoggi ravvicinati, nella ripresa questo dato è sceso solo fino a 11.
È in questi numeri che si individua il vero problema del Napoli: la ripetitività dell’azione, che diventa inevitabilmente prevedibilità. I 3 tiri in porta tentati nella ripresa e sventati da Buffon – a cui va aggiunto il rigore di Insigne per arrivare a quota 4 – sono il frutto di azioni nate sempre nella stessa maniera, solo con uno sviluppo più veloce, e/o eseguito meglio dal punto di vista tecnico.
Una bella azione, soprattutto un’azione veloce: è per questo che Di Lorenzo è riuscito ad arrivare al tiro
È evidente il fatto che alcuni calciatori del Napoli amino questo tipo di calcio – nel video sopra, Insigne, Mertens e Zielinski sono perfetti nei movimenti e soprattutto nei passaggi che tagliano le linee avversarie. Ma è evidente anche che servano grande talento, grande condizione fisica e anche delle strutture tattiche importanti perché questo stile di gioco possa essere efficace per un’intera partita. Oppure, più semplicemente, occorre giocare con un ritmo più alto, come fatto dal Napoli in alcuni frangenti del secondo tempo. Alcuni frangenti, però, possono bastare contro certi avversari. Contro la Juventus, può essere che non siano sufficienti.
Torniamo sempre allo stesso discorso, quello dell’intensità – non solo fisica, ma anche tattica – e della necessità di saper cambiare approccio. A Milano contro il Milan, così come all’Olimpico contro la Roma, il Napoli era riuscito a portare a casa il risultato pieno perché era stato in grado di alternare diversi registri tattici. Certo, all’Allianz Stadium il gol segnato da Ronaldo dopo 12 minuti di gioco non ha aiutato, ma nel primo tempo sono mancate le reazioni di rabbia e pure quella tecnico-tattica. È sembrato che la squadra di Gattuso non fosse in grado di fare o essere altro da sé.
Qualcosa è cambiato all’intervallo, ma solo dal punto di vista emotivo. Non può essere un caso che Osimhen sia riuscito a giocare solo 15 palloni in oltre 35′ di gioco. Così come non può essere un caso che i suoi 3 tiri siano arrivati tutti nell’arco di tre minuti (due tra il 54′ e il 55′, e poi l’ultimo al 92′). Nonostante non sia stato praticamente servito, il centravanti nigeriano ha tirato più di tutti gli altri e si è procurato il rigore trasformato da Insigne. Magari sarebbe stato meglio inserirlo prima, e lanciarlo come piace a lui.
Il Napoli muove il pallone con il classico gioco a tre sulle fasce tra Insigne, il terzino e il centrocampista di parte. Con questo tipo di possesso, è difficile servire Osimhen come piace a lui. Non a caso, infatti, il nigeriano non allunga la squadra, per non finire in fuorigioco. E così disperde gran parte del suo potenziale.
Conclusioni
La seconda sconfitta stagionale del Napoli contro la Juventus è identica alla prima. Ed esattamente come quella in Supercoppa, non aggiunge e non toglie nulla alla sua reale dimensione. La squadra di Gattuso è stagnante, nel senso che non va mai oltre sé stessa. Questo è un discorso valido dal punto di vista tattico, ma anche e del rendimento. Il risultato e la prestazione di ogni partita, infatti, non sono altro che la somma algebrica dei valori presenti in campo, della forza e della condizione momentanea dei giocatori del Napoli e degli avversari di turno.
Come detto, in alcune gare c’è stata la percezione di una modifica in corso d’opera, ma questa pratica di adattamento al contesto diventa una pretesa irraggiungibile nelle occasioni più importanti. È successo in Supercoppa, e ancora prima contro il Barcellona. È successo anche in alcune partite contro squadre di livello più basso. L’unica modifica sostanziale che abbiamo visto negli ultimi mesi è stata l’introduzione della difesa a tre in alcune gare. Una mossa dovuta alle assenze, ma non pensata e attuata in funzione proattiva, per vincere. Anzi, soprattutto contro l’Atalanta fu una scelta dettata dalla volontà di non perdere.
In virtù della composizione – ibrida, incoerente – della sua rosa, il Napoli dovrebbe approcciare al gioco in maniera esattamente opposta. Dovrebbe cambiare volto a ogni partita, dovrebbe cercare il modo per azzannarle e dominarle, non per limitare i danni. È stata questa la grande delusione provocata da Gattuso: sembrava potesse diventare l’allenatore giusto per questo Napoli forte ma contraddittorio. E invece, alle prime difficoltà, ha finito per rifugiarsi sempre nella sua comfort zone tattica e retorica. Inevitabile che la squadra, almeno in parte, lo seguisse in questo comportamento. È stato lì, in quel momento esatto, che il Napoli ha smesso di crescere, di evolversi.