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La Superlega ha fatto il miracolo: l’Uefa ora è la Caritas, la Fifa s’atteggia a Unesco

I richiami al “cinismo” e alla “solidarietà” da parte delle istituzioni del calcio è cabaret d’avanguardia. La vera rivoluzione dei top club è dichiarare pubblicamente: “Lo facciamo per soldi”

La Superlega ha fatto il miracolo: l’Uefa ora è la Caritas, la Fifa s’atteggia a Unesco

C’è stato un momento, supponiamo imbarazzante, in cui all’Eca riunitasi d’urgenza si sono resi conto che tra i convenuti mancava qualcuno. Il Presidente, che fino ha fatto il Presidente? Nel mentre Andrea Agnelli, il Presidente non più tale a loro insaputa, era già Vicepresidente della Superlega. In quelle poche ore, forse minuti, di stupore s’è consumato uno strappo concettuale, e comunicativo, persino indipendente delle rivendicazioni più o meno romantiche dello sport: “Contano solo i soldi” è diventato un brand. Un manifesto. Una linea politica esplicitata con orgoglio. Sbattuta in faccia al mondo che fino a tre secondi prima ancora s’atteggiava a verginello. I soldi?! Ma mica si può urlarlo così, ai quattro venti, screanzati!

La stanno raccontando tutti come un blitz immorale, portato a termine da un manipolo di miliardari ribelli nelle segrete di una caverna schermata. Come se non fosse un progetto che monta da anni, con dibattito annesso, fino a farne arma di ricatto commerciale nella pianificazione del nuovo format Champions che proprio la Superlega doveva disinnescare. Hanno deciso di giocarsela così, Uefa e Fifa, la stessa Eca che ancora sta cercando Agnelli sotto una poltrona, le leghe nazionali: scegliendo un ruolo posticcio, indossando l’armatura immacolata del garante del gioco che fa innamorare i bambini per strada. Contro il demone del vil danaro, trasfigurato nei volti dei tycoon. Basta leggere i comunicati di sdegno: l’Uefa si autorappresenta come la Caritas, la Fifa come l’Unesco. 

Il proclama dell’Uefa è paradossale nella sua isteria.

«Resteremo uniti nello sforzo di fermare questo cinico progetto, un progetto che si fonda sull’interesse personale di pochi club in un momento in cui la società ha più che mai bisogno di solidarietà. Questo persistente interesse personale di pochi va avanti da troppo tempo. Quando è troppo è troppo»

Par di vederlo Ceferin, che rilegge il comunicato col piglio di Che Guevara. L’Uefa che accusa altri – chiunque – di “cinismo” è un pezzo di cabaret d’avanguardia. Soprattutto perché chiama in causa l’anno pandemico (chi non lo fa? E’ il più spicciolo dei tranelli emotivi, i bambini alla sera quando non vogliono lavarsi i denti s’appellano alla crisi per il Coronavirus) che ancora si trascina, passato ad organizzare partite di calcio che poi si sarebbero tradotte in focolai da centinaia di morti, a ricattare gli Stati sovrani con la leva economica – lo stanno facendo ancora in questi giorni col diktat degli stadi aperti da garantire per gli Europei – a dribblare le restrizioni dei governi per limitare il contagio migrando il pallone nei campi neutri compiacenti. Tutto pur di far andare avanti lo spettacolo. Ma che non si parli di soldi, mioddio. Come il Primario di Fantozzi che non li tocca (“siete tutti testimoni, li dia alla sorella!”) ma poi mette la suora all’incasso.

L’Uefa che detta le condizioni al virus ora dice “basta!” all’egoismo. Ceferin, che al Guardian in piena prima ondata parlava così:

«le persone che conosciamo probabilmente moriranno un giorno, ma dobbiamo preoccuparcene oggi? Io non la penso così»

ora accusa gli altri di “cinismo”. Capolavoro.

E la Fifa? La Fifa che a sua volta condanna il progetto dicendosi “a favore della solidarietà del calcio e di un modello equo di ridistribuzione della ricchezza che possa aiutare la crescita del calcio come sport, particolarmente a livello globale”, è la stessa organizzazione che ha organizzato un Mondiale in Qatar (fregandosene delle condizioni ambientali quasi proibitive) danzando sulla corruzione a vari livelli, con un costo in vite umane (non aggiornato) di circa 6.500 lavoratori migranti?

Davvero la Fifa si ricicla come paladina della “solidarietà”? Standing ovation.

Senza inoltrarsi nel sottobosco ingarbugliato di interessi impliciti, nefandezze dimostrabili o meno, in cui sguazzano da sempre le istituzioni del calcio che ora usano la mannaia morale per difendere lo status quo, è proprio la scelta del mezzo a fare impressione. Vendersi come il bene messo a repentaglio dai cattivi, i quali tramano alle nostre spalle di poveri consumatori di pallone e ideali, è semplicemente ridicolo. L’unico stacco, netto, che ora i media di tutto il mondo recitano come una “guerra”, è tra chi ha deciso di spogliarsi di ogni finzione e urlare al mondo “sì lo facciamo per soldi, e allora?!” e chi lo faceva per soldi già prima ma fa finta d’arrossire come un’educanda sgamata a limonare nei cessi della scuola.

Secondo il New York Times, «a ciascuno dei membri permanenti della Super League sarebbero garantiti circa 350 milioni di euro per la sola iscrizione». Ovvero una cifra superiore all’intero fatturato di Inter e Milan, solo per partire, per esserci. Con questi presupposti economici, la creazione di un torneo privato che generi flusso di cassa (almeno questo è nelle loro intenzioni), molto più della Champions, è un processo quasi fisiologico. E nemmeno un’idea così brillante. L’ha scritto anche il Guardian: i top club hanno presentato la loro visione per il futuro del calcio: un reality show televisivo di 12 mesi. Ma considerato che “questi cervelli galattici” a stento riescono a garantirsi un tetto sulla testa, lasciamoli fare. Vediamo che combinano.

Il cinismo, la solidarietà, i valori morali e le belle anime non hanno niente a che fare con tutto questo. Questo è un altro sport, letteralmente.

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