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No intensità, no Napoli: contro l’Inter un saggio della squadra di Gattuso

Raggiunge pochi picchi prestazionali, quando riesce a giocare ad alto ritmo, e poi tanta fragilità, mascherata da normalità, tutt’intorno

No intensità, no Napoli: contro l’Inter un saggio della squadra di Gattuso
foto Hermann

Lo specchio di una stagione

Il risultato finale e l’andamento tattico di Napoli-Inter sono un saggio breve, eppure esplicativo e completo, sulla stagione della squadra di Gattuso. Che, per dirla in poche e semplici parole, ha messo in difficoltà l’Inter ogni qual volta è riuscita ad alzare l’intensità del proprio gioco. Solo che l’ha fatto poche volte. O meglio: ha provato a farlo per segmenti di partita troppo brevi e troppo sparsi. Ed è questa la cosa incomprensibile, a maggior ragione se pensiamo all’urgenza della classifica, alla necessità/possibilità di accorciare sulla Juventus, di continuare a mettere pressione all’Atalanta e anche al Milan, all’esigenza di tenere a distanza la Lazio – che ora è potenzialmente al quinto posto, con il Napoli sesto.

Basta riavvolgere il nastro della partita per comprendere questa lettura: il Napoli ha trovato il vantaggio al culmine di un lungo periodo di predominio territoriale, caratterizzato dal solito possesso palla insistito e da una pressione alta e costante in fase passiva; nel frattempo, l’Inter era rannicchiata nella sua metà campo a protezione della porta di Handanovic, e non alzava mai il ritmo della sua costruzione dal basso e delle sue azioni veloci, verticali, ovvero le prerogative tattiche che hanno portato la squadra di Conte ad appropriarsi del primo posto in classifica. Dopo il gol del Napoli (o meglio: l’autogol di Handanovic e De Vrij), i nerazzurri hanno cambiato marcia, schiacciando gli azzurri fino al pareggio di Eriksen.

Tutto giusto, tutto secondo copione, considerando il valore delle due squadre. A quel punto, però, l’Inter ha ripreso a giocare d’attesa, mentre il Napoli non è più riuscito ad alzare ritmi e intensità di gioco. E così la partita si è trascinata stancamente verso il pareggio. Una successione degli eventi inspiegabile, almeno dal punto di vista della squadra di Gattuso.

Un buon inizio per il Napoli

Come detto, il Napoli ha iniziato la partita con un buon piglio, in fase offensiva ma soprattutto in fase difensiva. Pur senza manifestare grandi stravolgimenti tattici, la squadra di Gattuso ha cercato di aggredire sempre alto la fase di costruzione dell’Inter, e anche in fase di transizione negativa – ovvero nel momento del passaggio dalla fase offensiva a quella difensiva – ha preferito accorciare il campo, ha provato a giocare d’anticipo sugli avversari, piuttosto che a retrocedere a protezione dell’area di rigore.

La pressione alta del Napoli nel primo tempo, in due immagini. In alto, ci sono sei giocatori del Napoli nella metà campo dell’Inter nel momento in cui i nerazzurri avviano l’azione dal basso; sopra, un momento in cui Koulibaly è ben oltre il centrocampo per chiudere su Lukaku: dietro il senegalese, Manolas è l’ultimo uomo.

Queste immagini sono eloquenti, raccontano di un approccio a ritmi alti, sono piccole istantanee di aggressività e intensità calcistica. Certo, questo atteggiamento del Napoli è stato in qualche modo agevolato – se non addirittura obbligato – dall’Inter, dalle spaziature e dal baricentro della squadra di Conte. Che, però, gioca così: per sfruttare le sue qualità, prima tra tutte la superiorità atletica di Lukaku sul lungo, resta sempre compatta, non troppo lontana da Handanovic; in fase di costruzione, “chiama” il pressing degli avversari con una trasmissione continua – per non dire ossessiva – tra i tre difensori centrali e il doble pivote Eriksen-Brozovic, per poi cercare la verticalizzazione sulle punte; a quel punto, Lukaku e Lautaro possono andare in campo aperto, oppure duettare con Barella e gli esterni a tutta fascia.

Rispetto ad altre partite, l’Inter ha attuato questo insieme di strategie con un atteggiamento ancora più guardingo e conservativo, e a quel punto il Napoli non ha potuto fare altro che aggredire ancor di più, del resto aveva trovato un terreno fertile per farlo. I numeri, in questo senso, sono una certificazione delle sensazioni: nei primi 45′, il Napoli ha tirato 7 volte nello specchio della porta di Handanovic, contro le 6 dei nerazzurri; sembra un dato equilibrato, ma sviscerandolo si scopre che la squadra di Gattuso ha costruito 6 azioni manovrate che hanno portato a una conclusione, mentre quella di Conte ci è riuscita una volta sola – tutti gli altri tentativi dei nerazzurri sono arrivati sugli sviluppi di palla inattiva.

Il gol del Napoli

Come si vede chiaramente da queste immagini, anche il gol nasce da una situazione in cui il Napoli ha attaccato e riaggredito l’Inter con intensità. Ci sono otto giocatori azzurri nella trequarti dell’Inter, e il pallone si muove velocemente da una parte all’altra del campo; in una situazione del genere, è facile che l’imbucata di Insigne porti a una respinta corta della difesa dell’Inter, poi la vicinanza di Zielinski alla zona del pallone determina un recupero immediato e un altro buon tocco per servire di nuovo Insigne nello spazio. Handanovic intercetta il cross, ma il pallone finisce in porta.

La giocata del portiere sloveno viene vanificata dalla maldestra chiusura di De Vrij, ma il gol nasce dalla presenza di tanti calciatori del Napoli nei pressi dell’area dell’Inter, del recupero immediato di Zielinski, e si determina al termine di un’azione rapida, in cui la squadra di Gattuso ha mostrato di avere la qualità per poter giocare ad altri ritmi, assecondando le caratteristiche dei propri elementi – quindi passando dal possesso palla, dalle combinazioni rasoterra nello stretto, insomma da ciò che Insigne, Zielinski, Fabián Ruiz e tanti altri sanno fare bene.

Il ritorno dell’Inter

A quel punto, ovviamente spinta dall’urgenza del risultato negativo, l’Inter ha ripreso a giocare. Semplicemente, ha alzato l’intensità e la velocità delle proprie azioni, e così ha iniziato a guadagnare campo e a costruire occasioni da gol. Neanche tante, in verità: il palo colpito subito dopo su calcio di punizione, e poi altre 4 conclusioni, un’altra (con De Vrij) su calcio piazzato, fino al gol di Eriksen al 55esimo minuto. Però sono state azioni che, in qualche modo, hanno evidenziato l’enorme differenza di peso specifico tra chi guida la classifica di Serie A e chi, invece, è in corsa per il quarto posto – parlare di qualificazione alla Champions League, oggi, ha poco senso, alla luce di quanto avvenuto questa notte.

Il gol dell’Inter

In questo gol c’è l’intera storia tattica della partita, ma forse anche del campionato di Serie A 2020/21. L’Inter riparte da dietro e, come già detto in precedenza, “chiama” il pressing del Napoli; con la costruzione bassa, la squadra di Conte riesce bypassare la pressione avversaria, e a far arrivare il pallone a Hakimi; Mário Rui sale a contrastare l’esterno marocchino, alle sue spalle si inserisce subito Barella; Hakimi tocca il pallone verso Brozovic, che dà il via all’azione verticale servendo Lukaku; il centravanti belga è fortissimo fisicamente ed è anche bravissimo nel coprire il pallone, resiste a Demme e a quel punto può riaprire di nuovo su Hakimi.

Ricordate Barella? Bene, ora Hakimi e il centrocampista sardo sono in superiorità numerica sulla fascia, scambiano con qualità e creano i presupposti per il cross in area; l’intensità dell’Inter fa sì che il servizio di Hakimi, non proprio pulito e preciso per le punte, trovi comunque pronto l’altro quinto di centrocampo, Darmian, che rimette ancora dentro il pallone; Manolas respinge come può, solo che c’è (anche) Eriksen a rimorchio.

Nessuna colpa particolare da parte del Napoli. Forse la squadra di Gattuso avrebbe potuto provare a essere più aggressiva, a tenere la difesa più alta come fatto nel primo tempo, così da portare Koulibaly, non Demme, a contrasto con Lukaku. Di certo il senegalese avrebbe avuto più possibilità (fisiche, nel senso di antropometriche) di fermarlo. E quindi di fermare l’azione nerazzurra. Ma se l’Inter è prima in classifica, lo deve a queste azioni qui. A questa forza d’urto, che si unisce alla qualità. Perché alzare l’intensità del gioco non vuol dire correre di più o fare di più a sportellate con i tuoi avversari. Vuol dire aumentare la velocità delle giocate. Serve anche tecnica: la tecnica di Lukaku, Hakimi, Barella ed Eriksen.

Solo un altro picco

È grazie a questi picchi, attraverso questi picchi, che l’Inter ha costruito lo scudetto 2020/21. Il Napoli di Gattuso ha avuto il suo picco nel primo tempo, l’ha sfruttato trovando il vantaggio, ma poi non è più riuscito a ritrovare quell’intensità, quella capacità di determinare l’andamento della gara e quindi il risultato. Il vero peccato, come già anticipato sopra, è stato proprio questo. Basta leggere i dati per capire di cosa parliamo: dal gol dell’Inter fino alla fine della partita, il Napoli è riuscito a tentare 5 conclusioni verso la porta di Handanovic, e solo una di queste (quella di Politano finita sulla traversa) è stata realmente pericolosa; tutte le altre sono finite lontano dallo specchio della porta. E se scorporiamo il dato in relazione al tempo, scopriamo che dal 60esimo al 79esimo il Napoli non è mai riuscito a tirare. Neanche fuori dallo specchio della porta.

Tra primo e secondo tempo, i cambiamenti dei dati sul baricentro medio di Napoli e Inter sembrano minimi, e forse lo sono. Però il gol di Eriksen arriva al 55esimo minuto, perciò il fatto che la squadra di Gattuso abbia tenuto un baricentro più basso, pur dovendo tornare in vantaggio, non è proprio semplice da spiegare.

Merito anche dell’Inter, che, come detto, ha ricominciato a tenere un atteggiamento difensivo per non dire speculativo. La squadra di Conte ragiona e agisce con la consapevolezza di essere più forte, in difesa e in attacco: alterna momenti di grande intensità – quelli che gli permettono di segnare, quindi di vincere le partite – a periodi anche lunghi di gestione, di puro contenimento difensivo. Di rischio zero. Un atteggiamento che può pagare in un torneo come la Serie A, e infatti ha pagato. In Europa, la situazione è ben diversa, soprattutto contro squadre di alto livello, e infatti il percorso in Champions della squadra di Conte è stato piuttosto negativo.

Otto giocatori sotto la linea della palla, e Lukaku a ridosso della sua trequarti.

Al di là delle riflessioni storico-filosofiche, la sensazione è diventata evidenza dopo il minuto 75′. Ovvero, nel momento in cui Mertens è subentrato a Victor Osimhen. Il centravanti nigeriano ha offerto una delle prove peggiori della sua stagione, ma nella formulazione di un giudizio sulla sua partita va tenuto conto anche del contesto: contro una squadra che difende come l’Inter, quale e quanta profondità avrebbe potuto avere un attaccante con le sue caratteristiche?

Difficile su quali basi Gattuso abbia deciso di non sostituirlo prima, anche alla luce della prestazione del Napoli dopo il cambio. Niente di clamoroso, ma di certo gli azzurri sono stati più frizzanti e ficcanti in avanti: nell’ultimo quarto d’ora, non a caso, sono arrivate 2 conclusioni verso la porta di Handanovic (entrambe di Politano), e in più i giocatori di Gattuso hanno toccato il pallone in area per altre 5 volte. Nella prima mezz’ora della ripresa, i palloni giocati nell’area di rigore dell’Inter erano stati 3 in tutto. Nella ripresa del Napoli, insomma, c’è stato un solo picco. E tutt’intorno è come se la squadra di Gattuso avesse avuto paura. Di cambiare per attaccare, di perdere. Di perdere a causa di un cambiamento.

Conclusioni

L’intensità tattica è da sempre uno dei concetti su cui insistiamo di più, nell’ambito di questa rubrica. Il Napoli di Gattuso, nel suo anno e mezzo di vita, è mancato soprattutto in questo: nella capacità di trovare soluzioni diversificate che permettessero alla squadra di esprimersi ad alto ritmo in condizioni sempre diverse, determinate a loro volta dal contesto – ovvero dalle assenze, dalle caratteristiche degli avversari, anche dalle idee rivoluzionarie dell’allenatore, perché no? Certo, Gattuso ha dovuto far fronte ad assenze lunghe e pesanti. Ma forse proprio in quei momenti d’emergenza è mancata la capacità di intuire cosa potesse essere fatto di diverso, di improvvisare. Di giocare un po’ di più con un organico costruito senza una sua logica tattica, e perciò da sfruttare creando soluzioni sempre nuove.

Del resto, fin dai tempi di Benítez, il gruppo storico del Napoli ha subìto i periodi in cui mancava una stimolazione tattica continua. Diciamola ancora meglio: quando le richieste dell’allenatore non erano asfissianti, martellanti. E infatti è stato Sarri – un tecnico identitario, e che chiedeva grande intensità tattica – a trarre il meglio da questo organico. Ora, però, quel tempo è passato: non ci sono più i giocatori per praticare un calcio sistemico, e Gattuso si è rivelato poco adatto – poco elastico, poco intuitivo, poco incisivo, e soprattutto costantemente impaurito dai e dei cambiamenti – per gestire una rosa ibrida.

E infatti il rendimento del Napoli è tornato nei ranghi. Ovvero: raggiunge pochi picchi prestazionali, quando riesce a giocare ad alto ritmo, e poi tanta fragilità, mascherata da normalità, tutt’intorno. Magari tutto questo può funzionare contro avversari di medio-basso livello, ma le grandi squadre, quelle che hanno qualità e/o un sistema di gioco efficiente, finiranno per punirti. Ecco perché Napoli-Inter è stata un saggio breve, eppure esplicativo e completo, sulla stagione della squadra di Gattuso.

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