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Quando torna a essere camaleonte, il Napoli funziona

La squadra di Gattuso è tornata a cambiare volto durante la partita, spinta anche dalla Sampdoria del sottovalutato Ranieri

Quando torna a essere camaleonte, il Napoli funziona

Il rovesciamento dello status quo

Nella narrazione semplicistica – per non dire banale e banalizzante – del calcio, Claudio Ranieri è un allenatore vecchio. È l’espressione di un calcio antico, obsoleto, è un tecnico che potrebbe allenare solo in Serie A, e tante altre etichette vuote di questo genere. La realtà, soprattutto dopo Sampdoria-Napoli, dice tutt’altro: la gara di Marassi può essere raccontata come un rovesciamento dello status quo, perché, tra le due squadre in campo, quella di Ranieri era quella più profondamente identitaria, mentre quella di Gattuso ha saputo assumere varie forme nel corso dei 90′. Alla fine, come succede spesso – quasi sempre – nel calcio, ha vinto il talento. Hanno vinto Fabián Ruiz, Osimhen, e i loro compagni. Il fatto che abbiamo “isolato” lo spagnolo e il nigeriano non è casuale. Sono stati loro gli uomini-simbolo e i giocatori decisivi di Sampdoria-Napoli, e non solo perché hanno segnato gli unici due gol del match.

Per capire perché, iniziamo ad analizzare la partita. E partiamo dalle scelte degli allenatori: Gattuso ha optato per il suo classico 4-2-3-1/4-4-2 con il ritorno dal primo minuto di Manolas, Mário Rui, Politano e Osimhen al posto di Rrahmani, Hysaj, Lozano e Mertens; Ranieri, fedelissimo alle sue idee e alla fisionomia della sua squadra, ha deciso di schierare i suoi giocatori con il 4-4-2. Ha scelto di farlo nonostante le assenze di Ekdal e Adrien Silva, che di solito giocano nel doble pivote davanti alla difesa, e che ieri sono stati rimpiazzato da un centrocampista centrale puro, Thorsby, e da Damsgaard, che di solito viene utilizzato sugli esterni. Questa è una scelta identitaria: pur di non modificare il suo sistema e di non alterare i meccanismi della sua squadra, l’allenatore della Sampdoria ha preferito forzare un cambio ruolo.

Saggio breve di pressione alta, 4-4-2 contro 4-4-2 (o 4-2-3-1, nel caso del Napoli)

In questo modo, come si vede anche dallo screen precedente, i blucerchiati si sono disposti per affrontare il Napoli a specchio, per poter pressare gli avversari fin dalla prima costruzione creando dei veri e propri duelli individuali, una strategia potenzialmente ideale per recuperare il pallone in avanti e attaccare subito l’area avversaria. In fase attiva, invece, la Samp pratica un calcio estremamente diretto, verticale: i giocatori di Ranieri tentano un lancio lungo ogni 5,5 passaggi (contro gli 8 del Napoli), e alzano il pallone ogni 5,8 passaggi (più di 10 per il Napoli).

Questa è l’anima della Sampdoria, in tutte le partite giocate in questa stagione. Un’anima proattiva, quindi tutt’altro che vecchia, tutt’altro che italiana, nel senso dispregiativo – quindi speculativo-pragmatico – del termine. Un’anima che asseconda e prova a elevare le caratteristiche dei calciatori in rosa, che a partire da queste determina un gioco estremamente aggressivo, potenzialmente in grado di soffocare il Napoli. E invece non è andata così, soprattutto nel primo tempo. Perché, dall’altra parte del campo, la squadra di Gattuso ha offerto una prestazione di buona qualità, di controllo e consapevolezza, grazie a una gestione intelligente ed efficace del pallone.

Lo dicono i numeri: nella prima frazione di gioco, gli azzurri hanno tenuto il possesso con una percentuale del 66% e con una accuratezza nei passaggi dell’84%, una percentuale buona ma non eccellente – considerando che il dato medio stagionale del Napoli sfiora l’87%. Anche le statistiche dei tiri fatti e concessi sono positive: sempre considerando il solo primo tempo, gli uomini di Gattuso hanno tentato 10 volte la conclusione verso la porta di Audero, mentre la Samp si è fermata a 3; dei tiri scoccati dagli azzurri, 3 sono entrati nello specchio, mentre la squadra di Ranieri non è mai riuscita a centrare lo spazio delimitato dai pali.

Uno dei gol più belli in tutta la stagione del Napoli

Il gol di Fabián, una delle occasioni nitide costruite dal Napoli nel primo tempo, evidenzia come il Napoli possa/sappia diventare una squadra estremamente pericolosa quando riesce ad alzare l’intensità del proprio gioco. Per intensità, intendiamo non tanto e non solo la frequenza della corsa, del pressing, dei ripiegamenti difensivi, piuttosto l’ambizione delle giocate, la velocità con cui si trasmette il pallone. In questa azione, la Samp è piuttosto pigra nell’alzare il pressing sui portatori dopo il recupero della seconda palla, tra l’altro dopo un rilancio sbilenco di Audero, costretto a questa soluzione dal pressing di Osimhen; Insigne retrocede molto per impostare il gioco, Fabián Ruiz si muove tra le linee per offrire una possibilità di passaggio interna; Osimhen e Zielinski chiudono un triangolo perfetto, lo spagnolo scocca un tiro di grande qualità dopo un grande stop.

Il Napoli, in questa e in altre occasioni nel primo tempo, ha fatto valere le sue qualità migliori. Il suo talento, come detto in apertura. La sensazione è che l’intensità (estrema) della Sampdoria abbia chiamato l’intensità degli uomini di Gattuso, portandoli a esprimersi a quello stesso livello. Il tutto senza modificare o alterare i riferimenti consolidati, senza rinunciare al possesso, alla costruzione dal basso o alla ricerca del gioco sulle catene laterali (il Napoli, a fine gara, ha costruito il 78% delle sue manovre sulle due corsie esterne), semplicemente alzando il ritmo e la qualità del gioco. In questa rubrica, non abbiamo mai attaccato il Napoli perché giocava o voleva giocare in un certo modo, ma perché questo tipo di calcio lo ha spesso portato a penalizzare alcuni elementi della rosa, ma soprattutto a esprimersi tenendo bassi i giri del motore.

Fabián Ruiz

A Genova, ormai è chiaro, non è andata così. Anche perché, come anticipato già in precedenza, Gattuso ha potuto contare su due grandi prestazioni. La prima è stata quella di Fabián Ruiz, che – per l’ennesima volta – ha dimostrato di essere un giocatore in grado di esaltarsi se inserito in un contesto funzionale e funzionante. Al di là del gol, il centrocampista andaluso ha prodotto: 55 passaggi su 72 palloni giocati, con l’84% di accuratezza; due occasioni create tramite passaggi chiave; 2 tiri in porta, 2 passaggi lunghi completati ma anche 2 contrasti vinti.

Tutti i palloni giocati da Fabián Ruiz nel corso di Sampdoria-Napoli

La partita di Fabián è stata encomiabile non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche (anzi, soprattutto) a livello quello geografico quello qualitativo: come si vede chiaramente dallo screen appena sopra, che in qualche modo rispecchia le sue abitudini consolidate, l’ex Betis non si è limitato a fare regia nella propria porzione di campo, piuttosto si è mosso in relazione alla posizione del pallone, offrendo costantemente una soluzione di scarico ai propri compagni, quelli della difesa così come quelli degli altri reparti. Pur non essendo un calciatore dal fisico imponente o dalla spiccata velocità, Fabián riesce comunque a esprimersi bene, anzi addirittura a esaltarsi, quando c’è movimento veloce attorno a lui. E per movimento, ripetiamo, non intendiamo solamente quello degli uomini, quanto (soprattutto) quello del pallone.

La ripresa

Finora abbiamo circoscritto l’analisi ai primi 45′ di gioco, ma pure la ripresa ha offerto temi interessanti. Perché, proprio come tutte le squadre identitarie, la Sampdoria ha provato a recuperare il risultato insistendo su sé stessa, sui propri principi, sui propri meccanismi. Così, per la squadra blucerchiata, è aumentata l’intensità del pressing, sono aumentate le conclusioni (10-10 nella seconda frazione) e i palloni lunghi alti e lunghi alla ricerca delle punte (da 26 a 33).

È stato il Napoli, sorprendentemente, a cambiare registro, approccio, meccanismi. La squadra di Gattuso ha accettato la variazione del contesto e ha risposto cambiando in maniera significativa, non radicale ma significativa, i suoi principi di gioco: intanto, il possesso palla della squadra azzurra è sceso addirittura di 20 punti percentuali, dal 66% del primo tempo al 46% della ripresa; sono aumentati tantissimo i lanci lunghi (uno ogni 6,3 passaggi) e i servizi diretti verso l’ultimo terzo di campo (90 nel solo secondo tempo).

Dida

Come si vede chiaramente in questa azione-gol non trasformata da Zielinski, nata da un veloce capovolgimento di fronte, Fabián è riuscito a calarsi perfettamente anche in questa nuova situazione. Anzi, è stato fondamentale. Perché in questa, così come in altre occasioni, è riuscito a farsi trovare dai compagni, e poi a trovare i compagni, senza rallentare la manovra, anzi lasciandola fluida, veloce, diretta. Insomma, ha adattato il suo gioco alle richieste del contesto intorno a lui, senza perdere un grammo di lucidità e di qualità.

Non è solo merito suo, ovviamente, ma di tutto il Napoli. Di un gruppo che è molto più elastico di come viene raccontato, di come viene dipinto. Di un gruppo che, se adeguatamente stimolato, è del tutto in grado di gestire una partita non pienamente controllata o dominata col possesso, come nel secondo tempo di Sampdoria-Napoli. Anzi, proprio la sfida di Marassi conferma – una volta di più – come il Napoli possa padroneggiare gli strumenti per giocare in tantissimi modi diversi. E qui arriviamo a parlare dell’altro grande protagonista di giornata.

Victor Osimhen

Nel primo tempo, Victor Osimhen ha giocato una partita di grandissimo sacrificio. Per quello che ha fatto, per come si è mosso. Ma anche perché ha dovuto – giustamente, questa volta – sopportare che la squadra intorno a sé non lo supportasse. Abbiamo aggiunto l’inciso “giustamente” perché il Napoli visto a Genova nel primo tempo ha giocato in un modo non congeniale a Osimhen, solo che l’ha fatto bene e inoltre stava portando a casa il risultato. Anche Osimhen, però, stavolta ha fatto qualcosa in più: come visto in occasione del primo gol, non si è limitato a offrire solo una parte, quella migliore, del suo repertorio, ma ha cercato di differenziare le giocate.

A volte – non sempre ma è già qualcosa – ha infatti fatto movimento diversi, ha provato a retrocedere un po’ verso il centrocampo, ad accorciare e non ad allungare la squadra. Non è il suo pane, ma ripetiamo: il fatto che ci abbia provato è un segnale positivo, dimostra come anche lui voglia cercare di completarsi, o quantomeno di migliorare in un aspetto in cui ora è piuttosto carente. Per caratteristiche tecniche e fisiche, non solo per mancanza/e dovute all’età.

I (pochi) palloni giocati da Osimhen nel primo tempo: non solo in profondità, ma anche in punti del campo dove si lega il gioco

Nella ripresa, però, il Napoli si è reinventato. L’abbiamo già spiegato sopra. E questo cambiamento ha ribaltato la partita di Osimhen, trasformando l’attaccante nigeriano: da giocatore volenteroso e che cerca di essere presente, attivo, nel gioco della sua squadra, è diventato un’arma. Un’arma da sfruttare in tanti modi, non solo come freccia per attaccare la profondità. Anche in questo caso, parlano i numeri: abbiamo già scritto di quanto il Napoli della ripresa abbia iniziato a lanciare lungo e alto, ma il punto è che ha potuto farlo perché ha trovato Osimhen, vincitore di 5 duelli aerei su 5 tentati; il discorso è valido anche per i palloni giocati, anzi alleggeriti, sulle fasce laterali, per provare a ridurre l’impatto del pressing avversario. E poi, ovviamente, c’è stato il gol.

Un passaggio per andare in porta

Non sfuggano i dettagli di quest’azione: il raddoppio grintoso ma anche intelligente di Demme, che pochi secondi prima era andato a saltare sul rinvio da dietro; la prontezza di Mertens a indovinare un passaggio veloce e verticale dove Osimhen non c’è, o meglio non c’è ancora; lo scatto del centravanti nigeriano, che al minuto 87′ ha ancora la forza di attaccare lo spazio alle spalle di Colley e Yoshida. Il tiro è quasi un orpello, perché in realtà la tattica e anche la tecnica si sono manifestate prima. Nella preparazione di questa giocata che chiude la partita.

Conclusioni

Il 17 ottobre 2020 si è giocata Napoli-Atalanta 4-1. In quella partita, il Napoli di Gattuso sembrava in grado di fare qualsiasi cosa. Di essere qualsiasi cosa. O ancora meglio: di poter diventare qualsiasi cosa, cioè di essere una squadra con la forma dell’acqua, in grado di adattarsi perfettamente all’avversario, al contesto, alla partita, perché no, anche a quei cambiamenti che sono puri sfizi tattici dell’allenatore.  Per tanti motivi – indotti e non solo – quella partita è rimasta quasi un unicum. Di certo si può dire che non sia stata seguita la strada della mutevolezza e dell’adattabilità tattica.

La partita di Genova ha avuto un esito diverso rispetto a quella del 17 ottobre 2020. Ma l’andamento e il senso sono stati molti simili. Il Napoli migliore è questo, e non è un caso che pure le vittorie a Milano contro il Milan e all’Olimpico contro la Roma siano arrivate quando sono state dismesse, o comunque ridotte, le grandi paure che attanagliano la squadra da diversi anni, e soprattutto in questa stagione: quella di cambiare e quella di perdere perché è cambiato qualcosa. Quelle stesse paure, che non a caso, hanno compromesso le sfide contro la Juventus in Supercoppa e nel recupero di campionato – e in parte pure quella giocata al Maradona.

Chiudendo su Samp-Napoli: non potevano esserci segnali migliori per la squadra di Gattuso, soprattutto in vista degli scontri contro Inter e Lazio, due squadre che hanno una qualità assoluta simile – leggermente superiore e/o leggermente inferiore – a quella degli azzurri. Saranno i dettagli e la capacità di leggere la partita a determinare il risultato, per un Napoli strutturalmente impossibilitato a essere una squadra identitaria. A Genova è stato proprio questo, oltre al talento, a fare la differenza. Magari questo concetto è stato davvero interiorizzato, e per la Champions non è troppo tardi.

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