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Come giocano le squadre di Luciano Spalletti

L’analisi di Roma e Inter allenate da lui avvalora la scelta del Napoli, che potrà migliorarsi seguendo concetti che già conosce. Ma servono rinforzi

Luciano Spalletti è un allenatore d’esperienza, abituato a gestire pressioni. L’ha fatto a Roma e Milano, dove si fa sempre una doppia corsa, in campionato e con la rivale cittadina. Sa dare credibilità ad un’idea di gioco, la rende efficace e i risultati poi gli danno ragione. Al Napoli serve tornare a disputare la Champions League almeno, lui c’è riuscito 11 volte nelle ultime 12 stagioni in cui ha allenato. A questi motivi, che già bastano a renderlo una scelta logica, si aggiunge anche la predilezione per il 4-2-3-1, che è la strada che la squadra sta percorrendo dall’inizio dello scorso campionato e che Spalletti per primo aveva fatto conoscere all’Italia quando allenava per la prima volta la Roma negli anni Duemila.

La premessa doverosa è sempre quella di non rimanere troppo ancorati ai numeretti del modulo, in un calcio in cui si difende con un assetto e si attacca in un altro, spesso lontani dal campetto giornalistico. L’impostazione però è molto simile: una punta con gol nelle gambe, esterni abili nell’uno contro uno, trequartista atipico e così via.

La versione più recente della Roma di Spalletti era una squadra centrata, con pochi dogmi. La costruzione dal basso, quando possibile, si sviluppava principalmente sugli esterni: il tecnico preferiva questa soluzione per favorire l’inserimento dei centrocampisti. Altrimenti, una palla lunga studiata verso Dzeko, con l’obiettivo di mettergli a disposizione uno o più scarichi a centrocampo per guadagnare campo nel minor tempo possibile. Gli esterni, come Salah ed El Shaarawy, permettavano ai giallorossi di scegliere quando attaccare puntando sul predominio territoriale e quando invece lasciare l’iniziativa agli avversari per punirli in transizione. Insomma, ciò che fa da conduttore è la veloce ricerca della verticalità, perseguita senza schemi rigidi ma che resta una costante. I punti deboli di quella squadra avevano un’origine individuale. Difensori non rapidissimi si sposavano male con la pressione elevata che la Roma sosteneva sui portatori di palla avversari, causando spesso ritardi nel riposizionamento in campo dei vari giocatori.

La sua Inter partiva dagli stessi concetti, ma sviluppati con qualche differenza, dettata soprattutto dalle differenti risorse umane. Il trequartista dei nerazzurri era Borja Valero, avanzato rispetto alla solita area di competenza, col compito di dare ritmo e soprattutto di cercare con intelligenza l’ultimo passaggio spesso all’indirizzo di Icardi. La costruzione parte sempre dalle fasce laterali, anche perché soltanto successivamente Spalletti inserirà in mediana Brozovic in versione palleggiatore, a differenza di Gagliardini e Vecino. L’obiettivo è di frequente la ricerca di un cross pericoloso, sfruttando triangolazioni e sovrapposizioni sulle corsie. In fase di non possesso il posizionamento è sempre su due linee da quattro, con l’attaccante e il trequartista a portare la pressione iniziale. Rispetto alla Roma, è molto più accentuato il lavoro nelle marcature preventive dei difensori centrali e i ripiegamenti degli esterni d’attacco (Candreva e Perisic), più propensi alla disponibilità in fase difensiva.

Sempre in confronto ai giallorossi, il punto debole di quell’Inter si spostava sulle fasce, dove magari c’erano gli anelli più deboli della linea difensiva. Un aspetto, questo, da non sottovalutare nella costruzione del nuovo Napoli, dove sarà fondamentale assemblare un reparto competitivo in tutti i ruoli. In ogni caso, dal centrocampo in su la squadra non dovrebbe essere stravolta: Osimhen parte in vantaggio su Mertens per la fisicità che garantisce, Insigne e uno tra Lozano e Politano saranno gli esterni, con Zielinski dietro la punta con i soliti compiti di rifinitore. Con Spalletti però gli azzurri potrebbero ritrovare la compattezza che hanno avuto per troppo poco tempo con Gattuso (quest’anno le sconfitte in campionato sono state nove) e un atteggiamento diverso, magari più consapevole, nel bene e nel male.

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