Oggi fa rendere al meglio i giocatori che ha. Uscirà da quest’esperienza con un bagaglio decisamente più ricco e più vario rispetto al passato
La tattica e il valore dei calciatori
Molto spesso, anzi quasi sempre, si fa confusione su cosa voglia dire essere un allenatore di calcio. Su cosa debba fare un allenatore di calcio. La risposta è più semplice di quello che si pensi: deve trovare la soluzione tattica migliore per far rendere al meglio i giocatori che ha a disposizione. Se partiamo da questo assunto, la conseguenza è evidente, è facilmente intuibile: sono i calciatori a rendere funzionale, efficace, vincente, una strategia tattica. Allo stesso modo, sono i calciatori a determinare la sua (eventuale) disfunzionalità, la sua (eventuale) inefficacia. Tutto questo, sempre in base al contesto. Le parentesi sono dovute, proprio perché nel calcio non esistono idee vincenti o perdenti in senso assoluto. Tutto, ripetiamo, dipende dal contesto.
Per far capire cosa intendiamo: non è stato Guardiola, con il gioco di posizione e il tiqui-taca, a rendere splendente e vincente il Barcellona di Xavi e Iniesta e Messi; piuttosto sono stati Xavi e Iniesta e Messi a rendere efficace quell’idea di calcio, e quella squadra. Perché sapevano giocare (soprattutto) così ed erano fortissimi. Guardiola ha capito come esaltarli, e l’ha fatto. Questo discorso può essere traslato, espanso, nel senso che vale per tutte le grandi strategie calcistiche degli ultimi 130 anni.
In questo senso, Fiorentina-Napoli è un esempio perfetto. Perché è stata una partita indirizzata e poi decisa dalle qualità dei giocatori del Napoli. Giocatori che, attraverso un sistema tattico ormai metabolizzato, tarato sugli elementi a disposizione, sono riusciti a domare la squadra avversaria. A controllare il flusso di gioco. E poi a trovare le giocate decisive, quelle che hanno determinato il risultato. Perché, in realtà, il vero compito di un allenatore è proprio questo: creare le condizioni perché i propri giocatori possano avere il maggior numero di giocate – potenzialmente – decisive nella situazione che preferiscono.
Ora spieghiamo cosa c’entrano questi due frame
Questi due frame praticamente consecutivi chiariscono quello che intendiamo. Siamo all’inizio del secondo tempo, ovvero nel segmento di partita in cui il Napoli è riuscito ad alzare – di più e meglio – l’intensità e quindi la pericolosità del proprio gioco; dopo una ribattuta della difesa, con otto giocatori di movimento nella propria metà campo, la squadra di Gattuso riesce a trovare un corridoio con Politano; l’ex esterno dell’Inter scatta bene, ma ovviamente non può tenere il pallone da solo troppo a lungo; a quel punto, però, Osimhen si è già spostato sulla destra, allargando ma anche allungando tantissimo il campo offensivo del Napoli. E la difesa avversaria.
Quella scelta dell’attaccante nigeriano, e la decisione di Politano di affidare a lui il pallone, determina una situazione di parità numerica in zona offensiva e poi una conclusione sul primo palo dello stesso Politano; Terracciano intercetta, la Fiorentina è in affanno e prova a rilanciare; il Napoli però ha accompagnato l’azione e ha recuperato subito il possesso, costringendo la squadra viola a concedere un calcio d’angolo. Su quel corner, Milenkovic commetterà fallo su Rrahmani, “regalando” al Napoli il rigore del vantaggio.
Niente di diverso
Un quarto d’ora abbondante, e la situazione si ripresenta in maniera sostanzialmente identica. Ribattuta della difesa del Napoli (che stavolta ha addirittura dieci giocatori di movimento nella propria metà campo), Osimhen scatta e Politano lo serve subito sulla corsa, lanciando il pallone lungo, in avanti, praticamente senza guardare. Non ce n’è bisogno, perché in realtà – si vede benissimo dal primo frame – è certo che il centravanti nigeriano scatterà per attaccare la profondità, per offrire ai suoi compagni la possibilità di risalire il campo velocemente, con un solo tocco. Pochi istanti dopo, succede questo:
Tre passaggi per andare in porta.
È ovvio che queste azioni siano merito di Osimhen. Delle sue qualità, del fatto che sia – e sia stato – un vero e proprio apriscatole delle difese avversarie: basta lanciare il pallone in avanti, e al resto pensa lui. Ma anche Gattuso ha dei meriti evidenti: se oggi – anzi: da diverse settimane – il Napoli gioca bene, è perché riesce a sfruttare le caratteristiche del suo giocatore più in forma – che probabilmente è anche quello più forte. Ed è stato l’allenatore a impostare la squadra in modo che tutto questo potesse accadere in maniera costante.
Basta riguardare i numeri di Fiorentina-Napoli per capire come il tentativo di innescare di Osimhen sia stato ripetuto, anzi continuo: nel primo tempo, la squadra di Gattuso ha cercato 31 lanci lunghi, più altri 6 nel secondo tempo, se rimaniamo entro il 68esimo minuto, ovvero prima dell’autogol di Venuti propiziato da Zielinski; il centravanti nigeriano ha giocato pochissime volte il pallone (17 in 84 minuti di gioco), ma quasi la metà di questi tocchi (8) è avvenuta in area di rigore. Quest’ultimo dato è un altro sintomo evidente di come il Napoli abbia ricercato moltissimo la palla in profondità. Poi, come detto, è stata ed è la qualità a fare la differenza: Osimhen ha cercato una sola conclusione (peraltro piuttosto sbilenca), ma non ha sbagliato nemmeno un passaggio. L’ex Lille, allo stadio “Artemio Franchi” di Firenze, è stato utilizzato proprio come un apriscatole. Come un’arma tattica. E ha funzionato
Tutti i palloni giocati da Osimhen durante Fiorentina-Napoli. Sono pochi, ma sono decisivi.
Certo, va detto che nel primo tempo lo stesso Napoli non è riuscito a sbloccare il risultato, pur applicando la stessa strategia. Sono mancate le giocate decisive, ma è stato anche merito degli avversari: la Fiorentina di Iachini è una squadra che ama difendersi con molti uomini e con un blocco molto basso (baricentro medio posto a 42 metri in fase di non possesso), che in virtù di questo atteggiamento non concede mai profondità ai propri avversari. Non a caso, come detto in precedenza, le due azioni che hanno determinato i gol del Napoli nascono da palloni ribattuti dalla difesa, quindi da due situazioni di ribaltamento, non statiche. Due contropiedi, direbbero gli amanti della terminologia calcistica classica. Ci sta, anche se in realtà si tratta di manovre meno immediate, perché le conclusioni in porta da cui nascono i due gol del Napoli (quella di Politano, e poi quella di Zielinski) sono state scoccate quando i giocatori arretrati della Fiorentina avevano già completato il rientro in difesa.
Il blocco basso della Fiorentina
Il Napoli del primo tempo è stato limitato dagli avversari nelle sue qualità migliori. Non è per forza un demerito della squadra di Gattuso – che a sua volta avrebbe potuto sbloccare il risultato sulla punizione di Insigne –, del resto anche gli avversari hanno un piano tattico teoricamente funzionale, cioè una strategia pensata per poter ricavare il meglio dalla partita, a livello di gioco come di risultato finale. Tra l’altro, nel caso specifico si è trattato di una strategia molto diversa rispetto a quello dello Spezia, che aveva lasciato grandi spazi a Osimhen.
Nella ripresa, però, è arrivato un deciso cambio di ritmo e quindi delle occasioni da sfruttare, da parte del Napoli. Merito di Osimhen, lo ripetiamo ancora, ma non si può – e non si deve – ridurre il tutto all’equazione elementare per cui basta lanciare il pallone in avanti ogni volta che se ne ha l’occasione. Anche perché bisogna farlo in maniera sensata, e il Napoli di Gattuso ha trovato il sistema per farlo. Grazie a un gioco meno incentrato su Insigne, per esempio: pur restando un hub importante nella costruzione della manovra (68 palloni giocati a fine gara, terza quota del Napoli dopo Fabián Ruiz e Di Lorenzo), il capitano del Napoli non è più l’unico riferimento per risalire il campo e fare regia offensiva, e infatti addirittura il 56% delle azioni azzurre sono nate sull’altra fascia.
L’importanza di Fabián Ruiz
L’altra figura trascinante del Napoli di oggi è ovviamente Fabián Ruiz. Non è solo una questione quantitativa (96 palloni giocati, record assoluto tra i calciatori in campo), ma soprattutto qualitativa: su 81 passaggi tentati, 72 sono arrivati a destinazione; inoltre, 11 di questi passaggi erano lunghi, e la percentuale di precisione scende in maniera impercettibile (9 riusciti). Insomma, l’ex centrocampista del Betis non è solo al centro del gioco: è ovunque, e in ogni posizione assicura un grande contributo al gioco della sua squadra. Considerando anche il dato dei passaggi lunghi, possiamo ancora allargare il concetto: Fabián Ruiz è al centro del gioco, è ovunque, dà grande qualità alla manovra del Napoli e ha un piede preciso anche quando deve servire i compagni in avanti, sulla corsa. Insomma, in questo momento è un giocatore perfetto per la squadra di Gattuso. È il regista del Napoli, anche se fa regia in un modo diverso rispetto a quello classico.
Tutti i palloni giocati da Fabián Ruiz
Come si vede anche da questa immagine, è ovvio che poi anche Fabián Ruiz si muova rispettando certe tendenze legate al singolo evento, alla singola partita. In questo caso, si è fatto trovare molto di più verso la fascia destra e la zona di centrodestra, data la presenza di un centrocampista in più nella Fiorentina (schierata con un 5-3-2 puro in fase difensiva) e la conseguente superiorità numerica dei viola in fase di contenimento, almeno a centrocampo. In ogni caso, però, la prestazione dello spagnolo è stata davvero eccezionale per presenza e continuità. E non solo in costruzione: l’ex Betis è stato il miglior giocatore in campo per palloni intercettati (5); inoltre, ha vinto 3 dei 4 contrasti che ha ingaggiato con gli avversari. Nel quarto, ha commesso fallo.
Solidità
La sensazione più netta venuta fuori da Fiorentina-Napoli è che la squadra di Gattuso sia diventata estremamente solida. In difesa, infatti, gli azzurri hanno concesso una sola grande occasione agli avversari: il tiro ravvicinato di Ribery dopo un’ubriacante azione in dribbling. Tutte le altre 6 conclusioni della squadra di Iachini sono state piuttosto velleitarie, infatti. Non a caso, viene da aggiungere, solo 2 di queste sono arrivate su azione manovrata. Il resto è nato da una palla inattiva.
Anche questo netto miglioramento nel rendimento arretrato (6 gol subiti nelle ultime 8 gare, di cui solo uno decisivo in negativo) è dovuto alla presenza di Osimhen. O meglio: al fatto che ora il Napoli abbia un piano offensivo chiaro, anche se un po’ monocorde, per sfruttare l’attaccante nigeriano. Non è un paradosso. Ora, infatti, la squadra di Gattuso risale il campo con pochi tocchi, in maniera diretta, rapida, verticale. Si appoggia su Osimhen. E allora difendere con tanti uomini sotto la linea della palla diventa una strategia che non inibisce la fase offensiva. O almeno non del tutto.
In alto, un frame del Napoli in fase difensiva; sopra, invece, i dati sul baricentro medio della Fiorentina e della squadra di Gattuso in fase di non possesso
Risalire il campo in maniera più rapida e poi appoggiare l’azione offensiva costa molto in termini fisici, certo, ma si tratta di uno sforzo accentuato solo sul breve. Uno sforzo che, inoltre, viene compensato da una fase di non possesso più statica, che copre e presidia gli spazi piuttosto che accorciarli col pressing intensivo. Questo non vuol dire che il Napoli abbia rinunciato ad alzare i ritmi difensivi sulla costruzione dal basso degli avversari, né tantomeno al possesso palla ragionato e all’attacco posizionale. Solo che ora ha delle alternative. O per dirla ancora meglio: ha un Piano A, ovvero restare corti e compatti e poi ripartire in verticale e in velocità, e i giocatori giusti per attuarlo e perché risulti efficace; le alternative tattiche esistono, e vengono attuate in alcuni momenti della partita. Ma non sono più l’unico riferimento, perché oggi la squadra di Gattuso è cambiata. È cambiata ne, modo in cui doveva cambiare.
Conclusioni
Il tecnico calabrese è stato bravo a interpretare tutti questi segnali. A comprendere che questa squadra dovesse “rinascere” per come era stata immaginata, concepita e disegnata a inizio anno. Nel corso della stagione ci sono state delle complicazioni che non gli hanno permesso di insistere su questo progetto. L’inesperienza nella gestione di queste complicazioni, aggravate da una rosa vasta ma composta senza darle un’identità tattica profonda e ben visibile, gli costerà la conferma – con ogni probabilità. Ma è evidente che anche lo stesso Gattuso uscirà da quest’esperienza con un bagaglio decisamente più ricco soprattutto più vario rispetto al passato.
Il Napoli, una volta di più, ha dimostrato di avere una grandissima qualità individuale e quindi complessiva. La qualificazione in Champions League, qualora dovesse arrivare, sarà pienamente meritata da chi fa parte di questa squadra, ma anche da chi l’ha costruita e da chi l’ha guidata. Ma va anche inquadrata per quello che era e per quello che è, cioè un obiettivo ampiamente alla portata di questo gruppo. Anzi, la crescita (evidente) di alcuni elementi, così come l’adattamento progressivo di altri (Insigne su tutti) evidenzia come una gestione diversa dei momenti critici vissuti negli ultimi 24 mesi avrebbe potuto portare il Napoli a giocarsi traguardi ben più ambiziosi. Ed è da questa certezza che dovrà partire il progetto del futuro, che ormai è quasi presente.
Ancora una volta, anche in questo senso, Osimhen sarà l’apriscatole: il Napoli migliore visto quest’anno si è visto quando lui era in campo, e quando la squadra ha giocato per lui. Rinunciando a una parte consistente della sua essenza, del suo passato. Ecco, magari continuare a insistere su questo punto potrebbe essere una buona idea.