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Il Verona riporta a galla i fantasmi del 1° maggio, Napoli non si rassegna alla versione ufficiale

La spiegazione psicologica dell’ennesimo fallimento in una partita decisiva (per noi fin troppo evidente), stenta a fare breccia tra i tifosi. In città si parla solo di questo

Il Verona riporta a galla i fantasmi del 1° maggio, Napoli non si rassegna alla versione ufficiale
foto Hermann

La Historia Official è un grandissimo film sudamericano che vinse l’Oscar negli anni Ottanta. La storia di un’adozione che in realtà era altro nell’Argentina dei desaparecidos. Qua, molto più banalmente, si parla di calcio e di una città – Napoli – e della sua tifoseria che non vogliono saperne di rassegnarsi allo spettacolo andato in scena domenica sera contro il Verona e che è costata la Champions. In città quasi nessuno parla di Sergio Conçeiçao allenatore che – se dovesse arrivare – potrebbe lavorare in una condizione di relativa e insolita tranquillità.

La domanda che regna sovrana è: che cosa è successo domenica sera? Perché il Napoli non ha giocato? Domande che sottendono altro nei pensieri dei tifosi. In questi casi i pensieri strani – non quelli di Albachiara – divampano come se fosse un incendio. Basta un nulla. Uno sguardo, una mancata stretta di mano. Figuriamoci quando si pareggia 1-1 col Verona, e la squadra si ritrova a non giocare dopo due mesi in cui era stata considerata unanimemente la migliore della Serie A.

La versione ufficiale – cui noi ovviamente aderiamo – è quella che poi non sorprende nemmeno più di tanto. Il Napoli, questo gruppo, viene puntualmente meno nei momenti realmente decisivi. Una cosa sono le partite importanti, un’altra sono le partite dentro-fuori. Le ultime il Napoli di De Laurentiis le ha perse tutte. Tutte, a prescindere dagli allenatori. Tutte, tranne i trofei alzati: Coppe Italia e Supercoppe. Nel campionato l’elenco è sterminato. Dai tempi di Mazzarri: si ricorda una sconfitta in casa con l’Udinese, con gli azzurri in lotta per lo scudetto. Passando per tutti gli altri allenatori. Il rigore lanciato alle stelle da Higuain nella sfida contro la Lazio che la Champions: c’era Benitez in panca e anche allora si era all’ultima giornata. La sfida scudetto con la Juventus e il gol di Zaza nel finale, quel Napoli (di Sarri) di fatto non giocò quella partita. Per non parlare del crollo di Firenze dopo la rete di Koulibaly allo Stadium.

I più accorti osservatori del Napoli fanno notare che anche la domenica precedente, a Firenze, la squadra era nervosa. Che soltanto un rigore per un fallo molto ingenuo ha consentito di sbloccare il match. E che – dettaglio fondamentale – Insigne quel rigore lo ha sbagliato. Così come ha sbagliato quello in Supercoppa contro la Juventus. O, ancora, sempre in campionato contro la Juventus con Ancelotti in panchina. Quindi la squadra era già nervosa una settimana fa, ma la vittoria fa dimenticare tutto. Va aggiunto che Gattuso non è proprio il tecnico ideale per la gestione della tensione. Ma, ripetiamo, è accaduto con tutti i tecnici. Anche con Benitez che provava a rasserenare il gruppo fino a pochi istanti prima dell’ingresso in campo.

Ci sarebbe da fare un lungo discorso. È un gruppo di calciatori molto bravi ma in qualche assuefatti alla sconfitta. Hanno interiorizzato la sconfitta. Quando la pressione supera il livello di guardia, va in ebollizione. I volti, domenica sera, erano stravolti. Quello di Insigne irriconoscibile, sembrava che avesse i connotati cambiati. De Laurentiis guida il Napoli da quasi vent’anni. Forse dovrebbe cominciare a ragionare in maniera diversa, a capire che c’è un problema da affrontare. Dovrebbe dotare il club di esperti di gestione delle pressioni e anche studiare un modo per rendere la squadra più impermeabile alle sensazioni – diciamo anche ai sentimenti – della piazza. Il cambio di allenatore, ormai è chiaro, non sposta questo macigno di una virgola.

Queste spiegazioni, però, poco convincono il corpaccione della tifoseria. Che snocciola uno dopo l’altro le prove secondo cui si sarebbe trattato di altro: i volti dei calciatori all’ingresso del campo; la enorme discrepanza tra le prestazioni offerte fino a una settimana prima e quella contro il Verona; la miriade di passaggi sbagliati; calciatori irriconoscibili come Osimhen; l’erroraccio di Hysaj no, quello non viene considerato sorprendente neanche dagli irriducibili del complottismo; l’assenza di Demme (qui è girata vorticosamente una fake news sulle presenze sul suo contratto, ripetiamo: fake news); la mancata esultanza di Rrahmani (sì, ha giocato nel Verona ma – voce di popolo – se segni un gol fondamentale per la tua squadra, deve prevalere la gioia per la tua squadra) fino alla prova regina: Gattuso non ha gridato dalla panchina. Perché gli urli dell’allenatore – alle orecchie dei tifosi – erano diventati un marchio di fabbrica, l’emblema della squadra adolescente da tele-guidare, come ben sa Quagliarella.

Napoli è città in cui è ancora molto acceso il dibattito su quel che accadde il primo maggio del 1988 quando il Milan di Sacchi venne a vincere lo scudetto al San Paolo. L’immagine di Careca che raccoglie il pallone in porta dopo il gol del 2-3 e corre verso il centrocampo mentre tutti attorno i suoi compagni camminano. Maradona che dopo quella partita, saltò le ultime due per infortunio: non era mai accaduto e non sarebbe mai più accaduto. Le voci che ancora si rincorrono sono le solite: pressioni della camorra, scommesse. Ad aggravare il tutto ci fu il comunicato dei calciatori contro Ottavio Bianchi.

Oggi, 33 anni dopo, Napoli si ritrova a fare le stesse considerazioni. Ad avere gli stessi foschi pensieri. Con l’aggiunta di una novità: nel frattempo qui, un anno e mezzo fa, è andata in scena la novità assoluta dell’ammutinamento dei calciatori nei confronti della società. Che è poi finito con un perdono generale. Ha pagato solo l’allenatore. E una delle correnti del pensiero complottardo – diciamo anche la corrente principale – si richiama proprio all’ammutinamento. Un altro sgarbo a De Laurentiis, facendogli così perdere i 50 milioni della Champions. Ovviamente ancora una volta prevale il proprio modo di pensare. Come se i calciatori non fossero professionisti, come se non volessero disputare la Champions che per loro è una vetrina, che è la loro carriera, la loro vita. Sarebbe più o meno come quel tale che per fare un dispetto alla moglie, provvede a una mutilazione importante. Lo stesso vale per Gattuso che, pur se godendo di splendida stampa, dovrà lavorare un bel po’ per strapparsi di dosso l’etichetta di tecnico che nei momenti chiave viene meno. È successo al Milan, è successo al Napoli. Se resta solo il ringhio, si cade presto nel dimenticatoio.

Queste sono considerazioni da professionismo, che fanno poca breccia tra i tifosi. Molto probabilmente è un modo per attenuare il dolore. Per non voler guardare in faccia la realtà. Andrebbe ricordato che per questi motivi Ancelotti voleva portare Ibrahimovic a Napoli. Ma è meglio fermarsi qua. Nello sport esiste la sconfitta. Nello sport, e non solo nello sport, esistono le scale di valori. E se ripeti sempre lo stesso gesto, vai sempre a sbattere contro il muro. Sempre. Fatto sta che Conçeiçao è un rumore lontano. A Napoli si parla solo e soltanto della partita col Verona.

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