Il calcio come potere “liquido” e transnazionale che si proietta oltre gli stessi Stati-nazione, sempre più consumati dalla globalizzazione
La superlega da un altro punto di vista
“La Champions League nella sua attuale forma è un misto tra il tentativo di essere democratici ed il generare denaro. Se la UEFA fosse onesta, dovrebbe dire che vogliono le cinque migliori squadre dall’Inghilterra, Italia e Spagna e le migliori tre dalla Germania, e che non sono interessati nel resto. Forse questo accadrà un giorno.“
Sembra una dichiarazione di Florentino Perez a proposito del tentativo di dare vita alla contestatissima Super Lega, invece è un passo di un’intervista rilasciata da Nick Hornby a Der Spiegel addirittura nel 2001. L’abbiamo trovata citata in “Calcio & geopolitica. Come e perché i paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici globali“, Edizioni mondo nuovo, di Narcís Pallarès-Domènech, Alessio Postiglione e Valerio Mancini, dal 13 maggio in libreria.
Si tratta di un volume denso di informazioni, ricostruzioni e analisi degli scenari internazionali che si intersecano con il calcio, in cui gli autori riescono a fornire le coordinate per comprendere ciò che accade in uno dei più grandi business del ventunesimo secolo. Proprio il recente e (per ora) inconcludente tentativo di scissione di alcuni tra i più grandi club europei assume tutto un altro significato, se inquadrato nell’ottica del tentativo di aumentare la propria sfera di influenza da parte della Cina, degli Emirati Arabi e degli Stati Uniti. Ma non è di certo la prima volta che il calcio utilizzato come soft power e strumento di geopolitica, come ci insegnano i mondiali del 1930 in Uruguai, quelli del ’34 e del ’38 vinti dall’Italia fascista, quelli voluti dalla Junta Argentina nel ’78 e quelli assegnati ai mercati emergenti degli USA (1994) e Giappone e Corea (2002).
Un secolo di storia calcistica
“Calcio & Geopolitica” ricostruisce oltre un secolo di storia calcistica e di come essa si intrecci con gli scenari economici e politici mondiali che cambiano, con gruppi di potere emergenti, con il capitalismo e il neocapitalismo, in una appassionante e accurata disamina. Vi troviamo il potere granitico della Fifa (che in 111 anni ha avuto solo otto presidenti, mentre nello stesso periodo periodo, per dare un termine di paragone, si sono avvicendati ben 10 papi), le cui decisioni sull’ammissione o meno di una federazione si intrecciano con l’ONU, con le rotte mercantili, con la costruzione di gasdotti e le sovranità nazionali, come dimostrano le frizioni con le entità ribelli della CONIFA (Confederation of Independent Football Associations) e della World Unity Football Alliance (WUFA). All’interno di queste federazioni alternative trovano spazio territori ed etnie in cerca di legittimazione, emancipazione e riconoscimento, dal Darfur all’Ossezia, dalla Catalogna alla minoranza Ladina del Sud Tirolo, passando per il Kurdistan, il Prinicpato di Monaco, la Padania e Taiwan.
La Cina e il suo piano trentennale
Quando sentiamo parlare di oriundi e calciatori naturalizzati la nostra memoria corre agli anni in cui Sivori, Angelillo e Sormani vestirono la maglia della Nazionale Italiana. Con tutta probabilità, però, sarà un argomento di cui torneremo a parlare, visto che il Presidente Cinese Xi ha intenzione di utilizzare anche questi strumenti, insieme ad investimenti straordinari e forte dell’esperienza che stanno maturando in Europa i gruppi proprietari, ad esempio, di Milan e Inter, per provare ad organizzare e vincere i Campionati del Mondo del 2050. Un obiettivo ambizioso, ma congruo rispetto alle ambizioni cinesi nello scenario mondiale che intorno al rettangolo verde gioca anche le partite con Taiwan, Honk Kong e con il Tibet.
Gli spettatori sempre più consumatori
Il libro segue anche l’evolversi della figura del tifoso che dalla fine dell’800 ai giorni nostri, vale a dire dalla fondazione nel Regno Unito delle prime squadre di lavoratori, attraversa varie fasi fino a mutare, forse definitivamente, alla fine degli anni ’80, e trasformarsi in spettatore di un grande e mondiale spettacolo teatrale, con i calciatori sempre più simili alle star di Hollywood e le curve sempre più lontane da quelle che vorrebbe lo storico tifo organizzato. Uno spettacolo capace di tenere incollato davanti al teleschermo, contemporaneamente, il 10% degli esseri umani, ma che vede i grandi club europei alle prese con rogne finanziarie da togliere il sonno (anche all’azionariato popolare in qualche caso).
Un atlante globale
“Calcio & Geopolitica” è un vero e proprio atlante, capace di mostrare le interconnessioni tra Maradona e George Weah, tra i filorussi dello Shaktar e gli irredentisti ungheresi del Karpatalja, portandoci fino agli angoli più remoti del Sudamerica, dove la comunità armena di Argentina, la nazionale Esperantista, le isole di Juan Fernandez e Fernando de Noronha, la Tierra del Fuego Roraima, i popoli indigeni di Panamá, i Rapa Nui dell’Isola di Pasqua, gli Aymara, i Myba Guaraní e i Mapuche (campioni in carica) si contendono la Coppa ANPO (Campeonato Nacional de Fútbol de Pueblos Originarios) organizzata dalla Associacion Nacional de Pueblos Originarios e dalla Corporación Nacional de Desarrollo Indigena. Per quelli, come noi, che sono sempre stati convinti che il calcio è bugia (cit. Rafa Benitez) e contemporaneamente è fede, business e politica, una lettura decisamente consigliata.