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Il Napoli non sa controllare le partite, è troppo rigido tatticamente

La rosa era – ed è – molto vasta e talentuosa, sarebbe necessario un tecnico liquido, in grado di adattarsi al contesto di partita in partita, dentro ogni partita

Il Napoli non sa controllare le partite, è troppo rigido tatticamente

La povertà tattica del Napoli

Il Napoli non ha battuto il Cagliari per tanti motivi che sfuggono alla logica. Per un gol incassato al 93esimo, ovviamente. A causa delle tante occasioni fallite, certo. Per la stanchezza accumulata nell’ultimo (ottimo) periodo, che ha presentato il suo conto nel finale di una partita giocata a inizio maggio, dopo un’annata durissima, contro un avversario con l’acqua alla gola. E poi ha pesato anche l’uscita di Osimhen, che ha privato la squadra di Gattuso di un’importantissima fonte di gioco, soprattutto in fase di ripartenza, di transizione positiva.

Insieme a tutto questo, però, c’è da tener conto di un aspetto fondamentale, soprattutto nell’ambito di questa rubrica: il Napoli, per l’ennesima volta nell’ultimo anno e mezzo, ha patito l’assenza di strumenti che le permettessero di dominare la partita. Anzi, il verbo esatto non è dominare. Quello giusto è controllare. È una differenza sostanziale, perché Napoli-Atalanta 4-1 oppure Napoli-Lazio 5-2 sono state gare dominate dalla squadra di Gattuso, ma non pienamente controllate. In quelle occasioni, i tre punti non sono arrivati dall’alto di una superiorità strategica totale, ma per la maggiore qualità del gioco espresso nei momenti importanti di quella partita. Una qualità che, in certe occasioni, si era manifestata per il talento dei giocatori; in altre, invece, per mezzo delle connessioni tra loro. Per dirla in una parola: sono state partite preparate, approcciate e giocate bene. Ma non sempre può andare così.

E infatti la tattica calcistica serve proprio a compensare i momenti difficili dei singoli e/o della squadra. A generare sicurezza, anche solo virtuale. Il Napoli, da questo punto di vista, è un gruppo davvero povero. E la gara contro il Cagliari l’ha mostrato in maniera evidente, una volta di più. Cerchiamo di capire perché, partendo dalla scomposizione delle statistiche riferite alla partita.

Il tempo

Napoli-Cagliari è finita 1-1, con 19 tiri a 14 in favore della squadra di Gattuso. Se andassimo ad analizzare questo numero più in profondità, troveremmo un equilibrio ancora più significativo, soprattutto dal punto di vista geografico e situazionale: la squadra di Gattuso ha cercato più conclusioni dall’area di rigore (13-6), ma gli uomini di Semplici hanno avuto addirittura 3 occasioni dall’interno dell’area piccola (una sola per gli azzurri); allo stesso modo, il Napoli ha un dato offensivo più corposo (2,91 Expected Goals contro 1,89), solo che il numero di azioni manovrate arrivate fino alla conclusione è pari (11-11). La supremazia del Napoli nel dato grezzo dei tiri in porta è dovuta a quelli scaturiti da palla inattiva (8-3).

In relazione alla nostra analisi, però, la scomposizione più interessante riguarda il tempo. Per la precisione: gli archi temporali in cui il Napoli e il Cagliari si sono alternati nella creazione delle chance più pericolose. Tra il primo e il 22esimo minuto di gioco, il computo dice 5-0 per il Napoli; tra il 27esimo e la fine del primo tempo, il dato si ribalta fino al 6-2 per il Cagliari. Stessa situazione nella ripresa: dal 46esimo fino al 70esimo minuto, 9 conclusioni del Napoli e una sola del Cagliari; nell’ultimo quarto di gara, infine, 7 tentativi a 3 in favore della squadra di Semplici.

Ma cosa è successo, dal punto di vista tattico, perché si determinasse una partita così scaglionata, così idealmente simile a un match di tennis, in cui i due giocatori hanno la possibilità di scambiarsi un colpo a testa, di alternarsi alla battuta, all’attacco, alla conduzione tecnica ed emotiva del gioco? È stata una questione di pura intensità, e in questo senso il gol di Osimhem è una prova inconfutabile.

L’importanza del pressing, della riconquista del pallone in zona avanzata

Il Cagliari sbaglia la rimessa laterale, ma si tratta di un palese errore forzato. Dalla grande presenza dei giocatori del Napoli nella metà campo avversario, dalla loro aggressività. E poi ci sono due giocate rapide, verticali, una di Demme e una di Insigne. Ovviamente, e non in ultimo, ci sono le qualità fisiche e la freschezza di Osimhen, la sua lucidità, una forza che trascina via Godín, lo travolge e determina il gol.

Questo atteggiamento – aggressivo, tambureggiante – ha caratterizzato il Napoli nel corso di tutti i periodi migliori vissuti nel corso della gara contro il Cagliari. Per fronteggiare la squadra di Gattuso, soprattutto nel primo tempo, la squadra di Semplici ha scelto di cambiare spaziature, di rinunciare alla difesa a tre e di schierarsi a specchio, con un 4-2-3-1/4-4-2 che ha pagato i suoi dividendi: in fase passiva, la squadra sarda ha saputo rimanere compatta, ma poi la presenza di diversi calciatori in grado di coprire molte zone di campo, di ribaltare rapidamente il fronte (Lykogiannis e soprattutto Nandez sugli esterni, ma anche Duncan e Nainggolan) ha reso più fruttuosa la fase di alleggerimento nei momenti in cui il Napoli abbassava l’intensità del suo gioco.

Nel frame in alto, vediamo come il 4-2-3-1 scelto da Semplici ha permesso al Cagliari, in fase d’attacco, di portare tre uomini in fascia (i due esterni e il centrocampista di parte) così da non patire inferiorità numerica rispetto al Napoli; dall’altra parte, invece, il trequartista, il centravanti e l’esterno opposto riempiono gli spazi vuoti in area e appena fuori; sopra, invece, vediamo il 4-4-2 difensivo disegnato dal tecnico rossoblu, con Nainggolan nel ruolo di seconda punta. Solo Pavoletti è fuori dall’inquadratura.

Semplici deve aver guardato con molta attenzione le ultime fare del Napoli. La Lazio e il Torino, le squadre sconfitte dagli uomini di Gattuso nelle ultime due settimane, hanno pagato oltremodo gli scompensi sulle fasce, il due contro uno che inevitabilmente si determina quando un 3-5-2/5-3-2 affronta un 4-2-3-1/4-4-2.

La mossa di schierarsi a specchio magari non avrà portato a grandi risultati in fase difensiva, perché, come detto, il Cagliari ha sofferto per lunghi tratti della partita, e ha concesso tante occasioni importanti – basti pensare alle chance piuttosto semplici fallite da Lozano nel primo tempo (di testa da due passi), da Osimhen (sempre di testa, su pennellata di Zielinski), al gol annullato al centravanti nigeriano, ai tiri un po’ strozzati di Insigne e Zielinski nella ripresa, tutti spostati sul centrosinistra in piena area di rigore. Il campo, però, ha premiato il coraggio di Semplici in fase offensiva: il pareggio sarà anche arrivato nel finale, e in maniera un po’ casuale, ma già in precedenza si erano materializzati i presupposti per il gol. E per motivazioni essenzialmente tattiche.

Un’occasione che nasce dalle dinamiche che abbiamo descritto sopra: Zappa sale a sostegno dell’azione offensiva, e si trova in area dopo un’azione confusa.

Questa azione cade in uno dei momenti della gara in cui il Napoli ha perso intensità tattica. Ovvero una di quelle fasi in cui la squadra di Gattuso non ha una direzione ben precisa, e allora ristagna, vegeta, in attesa che i suoi giocatori si rimettano in moto. Di solito, quando arrivano questi segmenti di partita, gli azzurri si limitano a cercare l’impostazione dal basso, e/o il lancio lungo verso Osimhen. Ecco perché il vero turning point negativo della partita è stato l’infortunio del centravanti nigeriano: nel secondo tempo, dopo un buonissimo inizio, il Napoli ha ricominciato a vivere i suoi momenti di stanca. L’uscita di Osimhen, insieme ai cambi di Semplici (che con Cerri è passato al 4-2-4) ha tolto a Gattuso l’unica soluzione per alleggerire la pressione.

I dati certificano questa sensazione: oltre ai tiri (di cui abbiamo già detto sopra), nell’ultimo quarto d’ora il Cagliari ha tenuto un possesso palla del 56%. Prima della rete di Nandez, Meret ha dovuto superarsi su una conclusione ravvicinata di Pavoletti, e i giocatori del Napoli hanno dovuto effettuare 12 interventi difensivi tra palle spazzate, respinte o intercettate nella propria trequarti campo. La stessa statistica, per il Cagliari, riporta il numero 3.

Anche i dati sul baricentro confermano che il Cagliari, nella ripresa, ha attaccato con maggiore aggressività

Perché il Napoli soffre

Il gol di Nandez spiega le difficoltà di Gattuso. In questo caso, il termine difficoltà ha una doppia valenza, perché va a intercettare i problemi a cui deve far fronte l’allenatore del Napoli, ma anche la sua evidente mancanza di soluzioni che possano risolvere questi problemi. Perché quando abbiamo parlato, in alto, di una squadra che non possiede gli strumenti per controllare la partita, facevamo riferimento all’impossibilità, da parte dell’allenatore calabrese, di dare un gioco identitario al gruppo che deve gestire. Perché questo gol mostra chiaramente come il Napoli sia una squadra che non possiede le caratteristiche per difendersi in area di rigore. L’abbiamo già visto in altre partite, in precedenza, e poi è un’evidenza conclamata ormai da anni. E quindi non può controllare la partita in questo modo.

Se fai così poco pressing, devi avere difensori che sanno essere concentrati nella marcatura in area.

La rosa che ha a disposizione Gattuso, però, non gli permette neanche di applicare un gioco di distanze corte, fatto di possesso intensivo, pressing e recupero palla in zone avanzate di campo – sarebbe un’altra strada per controllare la partita. Come abbiamo già scritto diverse volte in questo spazio: il Napoli 2020/21 era una squadra che avrebbe potuto battere qualunque avversario, ma raramente avrebbe potuto dominare una partita dal punto di vista tattico, proprio per la composizione ibrida del suo organico. Ancor più raramente, sempre per lo stesso motivo, avrebbe potuto farlo mettendo due o più volte in campo gli stessi meccanismi. L’unica possibilità, per Gattuso, sarebbe stata costruire una squadra mutevole, in grado di cambiare, che rinunciando al controllo del gioco in ogni partita avrebbe provato a vincerla tenendo sempre alta la propria intensità tattica. Magari proprio passando variazioni che dessero sempre nuovi stimoli ai giocatori.

È qui che si manifesta l’inesperienza di Gattuso, la sua incompatibilità rispetto alle caratteristiche della sua squadra. Per Napoli-Cagliari, il tecnico calabrese ha ripresentato la stessa identica squadra vista nelle ultime settimane. Non tanto come uomini (anche se in realtà dieci titolari su undici erano in campo dal primo minuto anche a Torino), ma proprio come approccio, come progetto tattico. Ovvero: dieci giocatori di movimento che si compattano in un 4-4-2 difensivo di posizione, con pressing selettivo, intermittente in base al momento; ricerca della transizione veloce per Osimhen in avanti se c’è la possibilità di verticalizzare subito; ricerca della costruzione dal basso e delle catene laterali per risalire il campo in fase di attacco posizionale.

Questo è l’atteggiamento difensivo del 4-4-2 del Napoli. Quanta energia fisica ci vorrà per poter ripartire velocemente per tutti i 90 e più minuti di una partita di calcio?

Giocare in questo modo, un modo che non è identitario, che restringe e allunga continuamente la squadra sul campo, è molto dispendioso dal punto di vista fisico e mentale. È inevitabile, dunque, che il Napoli sia intermittente nelle sue prestazioni. Per vincere le partite, perché comunque la squadra di Gattuso ne ha vinte in questa stagione (27 su 47, non tantissime ma neanche poche), è necessario sfruttare al massimo i momenti in cui l’intensità di quel gioco riesce a essere alta. È necessario metterla dentro, insomma, perché un 1-0 è cancellabile con un qualsiasi soffio di vento.

Quindi, alla fine: è vero che il Napoli avrebbe meritato di vincere alcune gare che non ha vinto. Che, anche contro il Cagliari, ha creato una grande mole di gioco ma non ha saputo concretizzare la sua superiorità. Che anche la sfortuna ha fatto la sua parte contro Gattuso, ieri e in altre occasioni. Ma è vero anche che senza Osimhen il Napoli ha mostrato di non avere un altro piano tattico per poter rispondere alla pressione del Cagliari. Magari un Mertens in buone condizioni sarebbe entrato e avrebbe trovato una giocata decisiva per il 2-0. Ma quella non sarebbe stata una mossa tattica. Sarebbe stato un colpo dipeso dal suo talento. Non dall’intuizione dell’allenatore, se l’allenatore non costruisce un senso compiuto intorno a quella sostituzione.

Sta succedendo la stessa cosa avvenuta a ottobre/novembre, quando il Napoli cominciò a ristagnare intorno al gioco di Osimhen. È vero che ormai c’è poco tempo per poter lavorare su un piano alternativo, conta solo vincere le partite e portare a casa la qualificazione in Champions League. Ma, proprio per come sta rendendo il Napoli dal punto di vista tattico, questo finale di campionato deve far riflettere la proprietà. Sugli errori che ha commesso, sulle (grandi) qualità di questa rosa e sulla scelta dell’allenatore che sarà.

Conclusioni

Oggi, esattamente come nell’arco di questa stagione, il Napoli manca di un sistema che gli permetta di andare oltre la componente episodica delle partite. Questo non vuol dire che la squadra di Gattuso debba dominarle tutte, o avere per forza un’identità, o magari averne una necessariamente offensiva. Semplicemente, questa rosa necessitava – e quindi necessita, ovviamente in caso di una conferma di massa nella prossima stagione – di un allenatore in grado di cambiare continuamente, di variare approccio tra difesa alta, aggressiva oppure un po’ più d’attesa, tra attacco in campo lungo e in campo corto, senza fossilizzarsi su una o due idee al massimo. Proprio perché la rosa era – ed è – molto vasta e talentuosa, sarebbe necessario un tecnico liquido, in grado di adattarsi al contesto di partita in partita, dentro ogni partita.

È quella rosa così forte e talentuosa che ha permesso e sta permettendo al Napoli di essere ancora in corsa per il quarto posto. Gattuso ha anche dei meriti, certo. Per esempio quello di aver tenuto la barra mentale dritta e di aver cambiato assetto in alcuni momenti. Ma non l’ha fatto abbastanza, è rimasto a metà tra la sua idea di calcio identitario e le necessità della sua stessa rosa.

La gara contro il Cagliari, già dopo l’andamento del primo tempo, gli aveva suggerito che a un certo punto, fallito il tentativo di chiudere la pratica in un certo modo, sarebbe stato necessario cambiare. Lui l’ha fatto troppo tardi, e soprattutto la sua squadra non era pronta. Certo, se l’arbitro non annulla il secondo gol di Osimhen o Demme centra la porta e non la traversa, il tecnico calabrese vince la partita e ha ragione lui. Ma questo è il calcio. Il confine tra successo e passo falso è sottilissimo. Il vero problema è che per tutti i passi falsi del Napoli, negli altri momenti bui della stagione, c’erano degli alibi: infortuni, niente possibilità di allenarsi bene, calendario fitto. Bene, ora tutto questo non c’è, non c’è stato. I problemi di Gattuso e della sua squadra sono ancora tutti lì. Intatti. E sono essenzialmente, evidentemente tattici.

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