POSTA NAPOLISTA – Come vogliamo definirla, narrazione stereotipata? Fatto sta che tra gli allenatori, così come tra gli opinionisti, non ci sono neri
Post-partita di Napoli-Udinese, salottino di Sky: si discute di Victor Osimhen. È eletto, a mio parere giustamente, uomo della partita. Viene esaltata la sua esplosione, se ne tessono le lodi. E ad un certo punto ci si chiede: “A quale calciatore del passato più si avvicina?”.
“Forse Weah”, accenna timidamente uno dei giornalisti in studio; ma la risposta non convince nessuno, in particolare Beppe Bergomi, che si affretta a smentire: “No, non assomiglia molto a Weah”. Secondo tentativo: “Adebayor”. Ma neanche questa ipotesi però suscita grande entusiasmo. “Forse più Kanu”, ci prova sommessamente qualcun altro ed il tentativo sembra riscuotere un po’ più consenso dei precedenti. Si è fatto anche il nome di Asprilla
Riflettendoci, è interessante. Weah, Adebayor, Asprilla e Kanu, giocatori di caratteristiche tecniche molto diverse tra loro; si fatica a trovarne un reale nesso con Osimhen. O meglio, ce n’è uno, abbastanza evidente, ma col calcio a poco a che fare.
Eh sì, perché tuttora, nel linguaggio sportivo, un calciatore di colore può essere di fatto paragonato solo ad altri calciatori di colore. È un’altra forma di razzismo, probabilmente inconsapevole, ma non per questo più tollerabile. A nessuno in quel momento è venuto in mente, giusto per fare un esempio, più o meno strampalato come i precedenti, di paragonare Osimhen a Pippo Inzaghi, per la sua capacità di bruciare i difensori, scattando sul filo del fuorigioco.
È in fondo la stessa logica che ha portato spesso a definire Koulibaly “il nuovo Thuram”, e praticamente mai il nuovo Nesta, Maldini, o Cannavaro.
Ma c’è di più. Tornando al salottino di Sky, la matassa della somiglianza la sbroglia proprio lo zio Bergomi: “Mah, io non credo si possa avvicinare ad altri calciatori… va paragonato ad atleti di altri sport come l’atletica leggera, è più un centometrista.”
Certo, siamo sicuri che i migliori centometristi sappiano controllare la palla come ha fatto Osimhen ieri in occasione del primo gol del Napoli; saranno sicuramente in grado di far salire la squadra come lui sta dimostrando di fare con disinvoltura, o fornire all’occorrenza grandi assist ai compagni dopo aver fatto mezzo campo palla al piede: lo straordinario successo ottenuto nel calcio da Usain Bolt sta qui a dimostrarcelo.
Ma in fondo, cosa volete che siano queste inezie tecniche e tattiche, di fronte al grande “atletismo”? “Ricordati che sei pur sempre nero”, chioserebbe Checco Zalone.
Non c’era bisogno di questo siparietto, anche involontariamente comico, se vogliamo, a ricordarci che il mondo del calcio è ancora imbevuto di un razzismo strisciante e per questo molto pericoloso. Basterebbe notare la percentuale pressoché nulla di allenatori e dirigenti di colore in giro. Anche tra i semplici opinionisti scarseggiano. Per molti ex calciatori bianchi, finita la carriera, si spalancano innumerevoli porte, tra panchine d’oro e ruoli dirigenziali. La maggior parte degli ex calciatori di colore, invece, esce dai radar del calcio.
Ma questo squilibrio ha tra le sue varie cause anche il linguaggio della narrazione sportiva, che è in troppe occasione diventa uno strumento per cristallizzare gli stereotipi. Sarebbe ora, che anche su questo, crescesse consapevolezza ed attenzione.