È una rosa assemblata male. E nei mesi dell’infortunio, Gattuso non ha escogitato un piano B ma ha solo atteso che la nottata passasse
Un’analisi tattica, ma diversa dal solito
Il titoletto che apre questo articolo è un avviso. Anzi, una precisazione preventiva. In questo spazio sul Napolista, di solito, analizziamo le partite del Napoli in maniera empirica, cioè attraverso strumenti numerici e di evidenza tattica – per quanto è possibile farlo con uno sport aleatorio come il calcio. Lo faremo anche stavolta, ma in realtà faremo anche altro. Faremo qualcosa di diverso dal solito.
Ovvero, partiremo da Spezia-Napoli 1-4 per capire quali sono stati i motivi che hanno portato il Napoli a non essere ancora certo di giocare la Champions League 2021/22. Per capire quali sono stati i motivi che hanno impedito al Napoli di lottare per lo scudetto con l’Inter. Infine, per fissare e spiegare un punto che, almeno per l’autore di questa rubrica, ha determinato l’esito di questa stagione: i punti che mancano al Napoli (alcuni, non tutti) e certe sconfitte subite dalla squadra azzurra sono da ricondurre alle scelte di Gennaro Gattuso.
Per farlo, dobbiamo partire dall’azione del gol segnato da Zielinski. Che ha sbloccato subito la partita di La Spezia, e questo nel calcio è un aspetto sempre importante. Che, soprattutto, ha mostrato il miglior volto del Napoli, la squadra che aveva in mente Gattuso all’inizio di questa stagione. Ovvero, un’unione praticamente perfetta di passing game e gioco in verticale, tutto dosato nei tempi e nei momenti giusti.
Un gol in cui c’è tutto, ma ora lo spieghiamo
Basta riguardare quest’azione, per capire di cosa parliamo, cosa intendiamo. È un gol in cui c’è tutto, tatticamente completo: anche se il video non è proprio esteso, sappiate che l’azione inizia dal basso, con la solita costruzione arretrata; poi il pallone arriva a Di Lorenzo, che da destra lancia subito Victor Osimhen in profondità; il centravanti nigeriano esprime il meglio della sua forza, delle sue qualità, scattando nello spazio tra centrale difensivo e terzino, poi comprendendo che allargare il pallone è l’unica cosa da fare perché la manovra possa proseguire; a quel punto, Politano e poi Di Lorenzo supportano il gioco, il primo offrendo uno scarico o Osimhen, il secondo sovrapponendosi lateralmente; a centro area, Zielinski è lesto a comprendere dove sarebbe arrivato il passaggio di Di Lorenzo, e poi deciso e preciso nella conclusione in porta.
Come detto precedentemente: Gattuso, una volta entrato a contatto con il calcio di Osimhen, aveva in mente un Napoli che si esprimesse in questo modo. Magari con Mertens al posto di Zielinski, con Bakayoko nel doble pivote accanto a Fabián Ruiz, con Lozano al posto di Politano e ovviamente Koulibaly al centro della difesa. Questi giocatori, esattamente come quelli che sono andati in campo ieri, avrebbero potuto/dovuto praticare questo tipo di gioco misto, fatto di costruzione dal basso e poi di verticalizzazioni per lanciare Osimhen. In alcune partite è andata così, ed è andata benissimo, soprattutto quando Osimhen ha offerto grandi prestazioni. Come a La Spezia. Una gara in cui anche l’atteggiamento della squadra avversaria ha avuto un peso significativo sul risultato finale.
Lo Spezia, ovvero l’avversario migliore per questo Napoli
Come al solito, come succede quasi sempre, i dati spiegano e raccontano il calcio meglio di qualsiasi altra cosa. Nel caso di Spezia-Napoli, il numero di tiri tentati dalle due squadre (12-8 in favore del Napoli) e quello degli Expected Goals (2.32 per il Napoli e 1,27 per lo Spezia secondo Understat) ci dicono tantissimo in relazione al risultato finale. Cioè, ci dicono che la squadra di Gattuso ha saputo creare occasioni da gol più pericolose rispetto agli avversari, e che ci è riuscita soprattutto nel primo tempo (7 tiri a 1 per gli azzurri), quando è riuscita a giocare con la giusta concentrazione/intensità difensiva.
Merito della grande prova di Osimhen, come detto, ma anche del fatto che lo Spezia ha deciso di affrontare questa gara senza rinunciare alla sua identità di gioco. Al punto che la squadra di Italiano ha tenuto un baricentro medio più alto del Napoli in fase di non possesso.
Dida
Non commentiamo né giudichiamo qui la scelta di Italiano, non possiamo farlo, non ne abbiamo il tempo, inizieremmo a fare filosofia e si rischierebbe di far andare troppo per le lunghe questa analisi. E allora proviamo solo a spiegarla, questa scelta. Per farlo, ecco una dichiarazione: secondo il tecnico dello Spezia, «quando speculi, soprattutto se sei una squadra di livello medio-basso, di partite ne vinci pochine. Se hai qualche idea, invece, puoi mettere in difficoltà chiunque. Devi provare a giocare bene, e per me giocare bene significa tutta un serie di cose: stare attenti in tutte le fasi di gioco, aggredire le partite, proporre qualcosa».
Solo che, più o meno incidentalmente, il sistema che Italiano ha cucito addosso alla sua squadra – un sistema fondato sulla difesa alta, sul possesso palla insistito e sofisticato (il dato grezzo a fine gara è stato perfettamente equo 50% per entrambe le squadre), su un’alternanza continua tra passaggi orizzontali e verticali – si è rivelata perfetta, sì. Ma per la squadra avversaria. Per il Napoli di Osimhen.
Il secondo gol del Napoli, realizzato dal centravanti nigeriano, è meno costruito, perché più immediato e diretto, rispetto a quello di Zielinski. Ma nasce dagli stessi presupposti: un lancio in uno spazio non presidiato dai giocatori dello Spezia. Se, in occasione del gol di Zielinski, lo Spezia si era riversato nella metà campo del Napoli perché era stato “chiamato” al pressing – e quindi a tenere il baricentro alto – dalla costruzione bassa degli uomini di Gattuso, la marcatura di Osimhen nasce da un’azione in cui la squadra di Italiano ha portato in avanti molti uomini. La respinta della difesa azzurra e l’immediata verticalizzazione per Osimhen, che scappa in mezzo a due difensori avversari, esattamente come successo poco prima del gol di Zielinski, hanno determinato il raddoppio.
Tutto nasce in modo molto diverso, ma si evolve in modo molto simile al primo gol di Zielinski. E anche il gol di Lozano nasce dallo stesso identico movimento di Osimhen.
Il resto della partita ha avuto poco da dire, almeno dal punto di vista tattico. Il Napoli si è difeso bene, cioè senza rischiare nulla e senza subire la pressione avversaria, fin quando è riuscito a rimanere attento, oltre che compatto. All’inizio del secondo tempo, e fino al gol di Piccoli (al 64esimo minuto), la squadra di Gattuso ha perso un po’ di intensità – come gli succede spesso – e questo l’ha portata a giocare con maggiore sofferenza, o meglio con minore capacità di recuperare il pallone prima e/o senza che lo Spezia riuscisse a entrare in area, a trovare lo spazio per la conclusione. Non a caso, la squadra di Italiano ha scoccato 6 dei suoi 8 tiri totali tra il 46esimo e il 72esimo minuto. Poi, però, l’ennesima azione in verticale, l’ennesimo lancio per Osimhe, ha portato al gol dell’1-4, che ha chiuso definitivamente la partita.
Perché il Napoli non è riuscito a lottare per lo scudetto
Siamo arrivati alla seconda parte di questa analisi. Siamo arrivati al punto in cui andiamo oltre Spezia-Napoli, per parlare della stagione della squadra di Gattuso. Come detto in apertura, proprio la gara giocata allo stadio “Alberto Picco” ci spiega perché il Napoli non sia ancora certo di disputare la prossima Champions League. Ci spiega perché il Napoli non sia stato e/o non sia ancora in lotta per lo scudetto con l’Inter di Conte. Tutto, ovviamente, parte dall’infortunio di Osimhen. Perché, questo va detto e chiarito subito, il Napoli è stato – ed è – una squadra molto più pericolosa ed efficace con il centravanti nigeriano in campo.
È un discorso puramente tattico: come abbiamo visto a La Spezia, Osimhen allunga il Napoli e le squadre avversarie, permette alla squadra di Gattuso di risalire velocemente e semplicemente il campo, crea sempre una situazione di tensione nelle difese che si trova a fronteggiare. Avere un giocatore simile vuol dire avere una soluzione eternamente ed estremamente comoda, da poter sfruttare, per vincere le partite. Specie contro avversari come lo Spezia, che pur di non rinnegare la loro identità di gioco finiscono per concedere il contesto perfetto all’attaccante ex Lille.
È evidente che il Napoli abbia sofferto della mancanza di Osimhen, nel periodo in cui Osimhen è stato infortunato e/o positivo al Covid. Proprio in virtù di tutto questo, ciò che è mancato davvero al Napoli è stato un sostituto di Osimhen. Cioè, un attaccante che avesse non tanto il suo stesso valore assoluto, ma almeno caratteristiche tecniche e fisiche simili, qualità che permettessero a Gattuso di continuare a giocare allo stesso modo, anche senza avere Osimhem.
Le colpe della società
Si è trattato di un evidente errore di programmazione. Di reclutamento. Perché i sostituti di Osimhen erano/sono stati/sono, nell’ordine, Dries Mertens e Andrea Petagna. Mertens è un attaccante alto 169 centimetri (contro i 186 di Osimhen), che sa attaccare in verticale ma è molto più bravo a legare il gioco, a tenere uniti i reparti, a tenere corta la squadra, piuttosto che allungarla. Petagna, invece, è alto più o meno come Osimhen, ma ha una struttura atletica completamente diversa, di certo non è uno scattista e quindi non riesce a garantire costantemente la profondità.
Gattuso, per dirla in breve, è stato costretto a cambiare il Napoli ogni qual volta ha dovuto far fronte a un’assenza in attacco. E anche per tutte le partite in cui ha deciso di fare turn over. Lo stesso discorso vale per tanti altri slot della formazione: Politano e Lozano hanno profili diversi per non dire antitetici, esattamente come Demme e Bakayoko, Hysaj e Mário Rui e Ghoulam, Manolas e Rrahmani, persino Ospina e Meret.
Insomma, la rosa del Napoli è stata assemblata, non costruita. C’è una bella differenza tra questi due verbi. Qualsiasi allenatore avrebbe fatto fatica a lavorare con un organico di questo tipo, a maggior ragione se la sua idea di calcio era così quadrata e riconoscibile. Gattuso, per sfruttare alcuni dei suoi migliori giocatori – Osimhen su tutti – aveva in mente ciò che si è visto ieri a La Spezia. Se avesse avuto Osimhen per tutta la stagione e sempre a pieno regime, avrebbe potuto farlo. Ma non è andata così, semplicemente perché non può mai andare così. Gli intoppi fanno parte del calcio, come della vita. Ed è in quei momenti che Gattuso ha commesso degli evidenti errori.
Le colpe di Gattuso
Proprio in virtù del fatto che aveva a disposizione una rosa ibrida, un aggettivo gentile per dire costruita male, Gattuso avrebbe dovuto essere molto più coraggioso. Molto più vario, nella sua proposta. Nelle partite giocate senza Osimhen, ma anche nelle partite in cui Osimhen è stato/sarebbe stato disinnescato, il Napoli avrebbe avuto bisogno di un piano di rifugio. E un tecnico che ha a disposizione Mertens e Petagna (più tutta un’altra serie di giocatori), ha il dovere di lavorare a soluzioni alternative. Di dare alla squadra gli stimoli giusti per continuare a mantenere alta l’intensità tattica, che poi si traduce in concentrazione difensiva e in efficacia offensiva.
Gattuso, nei periodi vissuti senza Osimhen o senza il miglior Osimhen, è tornato alla coperta di Linus del passing game esasperato – che poi è anche la coperta di Linus del Napoli, del gruppo storico. Non ha osato andare oltre, ha cercato semplicemente di limitare i danni, non ha provato a inventarsi qualcosa di nuovo, di diverso, per vincere le partite. Magari avrebbe perso un po’ di sicurezza difensiva, di controllo su alcune gare, ma è evidente che il Napoli 2020/21 non ha mai espresso un valore davvero superiore alla somma algebrica della qualità che ha potuto schierare in campo. Di solito, questo effetto si ottiene attraverso il lavoro sulla tattica. Sul miglioramento degli uomini all’interno del sistema.
Un esempio storico per capire cosa intendiamo: nell’autunno del 2016, l’attaccante scelto dal Napoli per raccogliere l’eredità di Gonzalo Higuaín, ovviamente stiamo parlando di Arek Milik, si ruppe il legamento crociato. Dopo alcune partite in cui la sua riserva designata, Manolo Gabbiadini, si dimostrò inadatto a sostituirlo, l’allenatore del Napoli, ovviamente stiamo parlando di Maurizio Sarri, decise di inserire Mertens nello slot di prima punta. Sappiamo com’è andata a finire.
Conclusioni
Ecco, Gattuso avrebbe potuto/dovuto cercare una soluzione all’emergenza vissuta a causa degli infortuni di Osimhen e Mertens. Avrebbe potuto/dovuto cercare di affrontare le difficoltà, non di subirle e basta. Certo, Sarri aveva una a disposizione una rosa molto più omogenea, aveva costruito un’identità di gioco più radicata e forse anche più radicale. Di certo è stato più facile, per lui, provare nuove soluzioni senza scombussolare l’assetto tattico imparato a menadito dai giocatori.
Gattuso ha dovuto e deve gestire un organico diverso e diversificato, ed è proprio la gestione della diversità l’aspetto in cui è sembrato carente. Poco fantasioso, poco incline al rischio. Il suo piano è sempre parso limitato, o comunque circoscritto. Senza guizzi, senza le intuizioni che avrebbero reso questo Napoli – una squadra molto forte ma non identitaria – poco intellegibile dagli avversari. Del resto, è proprio dalle crisi che prendono forma le rivoluzioni, le migliori rinascite.
In ogni caso, forse, il Napoli non sarebbe riuscito a tenere il passo dell’Inter. Ma probabilmente avrebbe affrontato la doppia sfida contro il Granada, così come altre partite di campionato, con uno spirito diverso. Con un atteggiamento più positivo. Manifestando la voglia di cercare nuove soluzioni dentro di sé, almeno quella. E invece la squadra azzurra ha aspettato per settimane, e poi per mesi, la possibilità di avere Mertens e poi Osimhen, per giocare esattamente come è stato deciso di fare a inizio anno. Ecco, ripetiamo: questo è un atteggiamento che può andar bene per una squadra che ha una forte identità, non per una squadra come il Napoli di Gattuso. Che è rimasto a metà strada, inchiodato a terra, per paura di essere investito. Forse arriverà sano e salvo, ma di sicuro la sua paura travestita da prudenza gli ha impedito di arrivare primo.