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Andare all’Augusto Righi negli anni Ottanta

Godeva di pessima fama, frequentata da estrema sinistra e agenti della Digos. C’era tanta di quella gente che sembrava Shanghai. Fu una scuola di vita

Andare all’Augusto Righi negli anni Ottanta

Alla fine delle scuole medie dovevo scegliere le superiori. Mia zia diceva che dovevo andare al liceo, ma stranamente non la vidi più per un mese. Cosi preparai un lungo, accorato, discorso, denso di emozioni e nobili prospettive in cui avrei spiegato le ragioni delle mie scelte, liceo + università, in un confronto maturo con mio padre (classe 1921).

Lui ascoltò due minuti poi disse: «Per l’università c’è tempo, meglio un diploma finito, ti ho iscritto all’Augusto Righi» [fine del confronto maturo].

L’Augusto Righi era una scuola di pessima fama, ex roccaforte comunista degli anni ’70, frequentata all’epoca da provetti terroristi e agenti della Digos. Era diventata un’enclave anarchica, nel senso che ognuno faceva quello che gli pareva in totale autonomia (tranne nelle sezioni A e B…).

L’istituto era gigantesco, 4 piani, 1 bar, 12 laboratori, 3 palestre, una cinquantina fra bidelli e amministrativi, 300 docenti e 2000 alunni tutti maschi come al C.A.R. (servizio militare). Quando entravamo e uscivamo da scuola la strada si paralizzava per 30 minuti… pareva Shanghai.

La scuola era frequentata da parecchi sani e da una marea di squilibrati, aggressivi e non. A quel tempo la parola bullismo non esisteva, tuttavia, se eri un bravo ragazzo, era facile finire “in mezzo”.

Le assemblee d’istituto erano decise dagli “studenti grandi”, cioè del quinto anno, dieci minuti prima dell’ingresso. Una delegazione della frangia politica si recava dal vicepreside, Prof. Ing. Alberto Sangro, dicendo: «Albe’ ce serve ‘o megafono e ‘a sala». Questa era un’enorme sala congressi che ci conteneva tutti e che aveva accolto i grandi dissensi sociali di quegli anni, dalle lotte operaie ai termosifoni spenti, dalle battaglie ecologiste ai cessi appilati.

Comunque non mancavano teppistelli, ragazzi perbene e sbandati vari.

La scuola era talmente grande che includeva 4 aree dove giocare a calcio, 3 a livello stradale e 1 sul tetto delle palestre per i ritardatari… dove si accedeva facilmente ma l’unico problema erano gli 8 metri d’altezza da cui si rischiava di precipitare; tuttavia inspiegabilmente per cinque anni non si fece male mai nessuno.

Un filino preoccupato per il “primo giorno di scuola” in quella casa circondariale, chiesi aiuto ad un mio caro amico molto deciso, già studente della scuola (oggi sottufficiale del Ros) per indirizzarmi… L’indomani mi portò a scuola, mi accompagnò in classe, mi disse dove mi dovevo sedere e parlottò con i ripetenti. Poi mi salutò ad alta voce dicendo: «Se c’è un problema sto affianco». Cosa disse ai ripetenti non lo so, comunque nessuno mi ruppe i coglioni.

Anni dopo seppi che mio padre aveva deciso ampiamente prima, dove dovessi andare per le superiori. Così allontanò la zietta che martellava col liceo e chiese consiglio ad un suo vecchio “camerata”, impiegato amministrativo nella scuola, che gli fece due domande :

1) tuo figlio a scuola è bravo o è ‘na chiavica?… è bravo!
2) vo’ fa inglese o francese?… inglese!

Allora lo iscriviamo nella sezione B!…. Perché? Poi ti spiego!… Apposto!

In effetti la sezione B d’inglese e la sezione A di francese erano “Sperimentali”, cioè frutto di un accordo tra Miur, Università e Aziende. Avevano un rinforzo di Matematica e Materie Umanistiche per preparare meglio gli studenti all’università o consentire ai più meritevoli un accesso diretto nel mondo del lavoro per “chiamata diretta” ‘na specie ‘e Liceo delle Scienze Applicate e questo mi salvò un pezzo. L’unico vero problema erano bocciature e rimandi.

Iniziammo in 32 ed arrivammo al quinto anno in 5, gli altri 10 che si diplomarono, furono o tenaci ripetenti o provenienti da altre scuole. Comunque i primi tre anni furono un vero sterminio e perdemmo 27 compagni. Quelli bocciati e rimandati o si iscrivevano in altre sezioni o si ritiravano… come l’esercito sul Piave.

I docenti erano terribili ma quasi sempre preparatissimi. Le professoresse in quel lazzaretto non cedevano di un millimetro, godevano di rispetto assoluto; alcune, bellissime, sfilavano nei corridoi (e nei nostri sogni) senza che nessuno di quegli sconsiderati dicesse una parola fuori posto. I professori erano in genere tutti brillanti professionisti.

Tra di loro spiccava il temutissimo professor Cimmino, luminare e accademico, con “cazzimma”.

Un giorno di maggio doveva interrogare il pluriripetente Enrico Matteotti, simpatico bulletto di professione. Tutto l’Istituto sapeva che quel giorno Matteotti sarebbe stato interrogato dal professor Cimmino. Quando entrò in aula, Enrico chiese di uscire un attimo. Passarono interminabili minuti di terribile silenzio, quando il professore mi chiese di andarlo a chiamare e quando tornai mi disse: «Dunque Buono cosa ha detto Matteotti?». «Professo’, ha detto che vuole un po’ di carta!»
L’accademico impietoso gli mise 2 e lo bocciò, non so se per la fuga, per l’impreparazione, o perché si cagò addosso…

Come le regate tra Cambridge e Oxford, l’Istituto aveva le sue millenarie tradizioni, che si ripetevano immutabili:
a fine anno dicembre/gennaio: esplosione di petardi direttamente nelle classi… con temporanea perdita dell’udito di almeno 3 decibel.

A Carnevale: spostamento del gabbiotto bidelli davanti alla porta d’uscita di una classe, con blocco delle attività didattiche per almeno 30minuti.

E a maggio un evergreen: l’incendio del registro di classe… come il rogo dei libri proibiti.

I bagni puzzavano talmente tanto di fumo che ti conveniva prendere il vizio e nei corridoi era meglio camminare al centro, poiché le pallonate dai 4 stadi ogni tanto centravano qualche vetrata. Comunque le sospensioni disciplinari erano tutte con “obbligo di frequenza” tanto era meglio tenerci a scuola che fuori.

Col tempo guadagnai una certa notorietà come difensore di calcio, anche presso “i più grandi” che mi venivano a chiamare in classe per giocare. Non che fossi Cabrini, ma all’epoca vigeva una brutale selezione tra gli adolescenti “molto poco inclusiva:

I bravi giocavano in attacco
Gli scarsi in difesa
O’ chiattone a porta.

Quindi un difensore più bravo era raro e rischiavi di essere molto apprezzato.

L’unica materia che odiai in quei 5 anni fu il Laboratorio Aggiustaggio, ‘na materia assurda! Retaggio dell’Unità d’Italia. Credo di aver avuto il primato di non aver mai fatto una saldatura in due anni e in tutta la mia vita; però il professore mi voleva bene e gli amici ricambiavano gli aiuti che gli davo nelle materie principali.

Furono cinque anni meravigliosi e indimenticabili e l’impiegato amministrativo amico di mio padre ebbe ragione. Dopo il diploma aziende come Alenia, Philips, Rai ci contattarono per offrirci un “posto fisso”. Io rifiutai per continuare gli studi, ma mi ci vollero 10 anni, 2 lauree, 1 master e 1 lavoro nelle Risorse Umane, per convincere mio padre, che rifiutando “il certo” del posto fisso, per “l’incerto” dell’università, non ero stato una grandissima testa di c.

Comunque l’altro giorno mio figlio disperato mi ha portato la famosa spada di Star Wars quella che si illumina mentre combatti… ovviamente scassata… Io l’ho aperta per finirla di rompere… e mi sono accorto di 2 fili staccati. “E SICCOME QUALCOSA NELLA TESTA RESTA SEMPRE…”, ho preso saldatore e stagno mai usati, ancora col prezzo in lire e a 53 anni ho fatto la prima saldatura della mia vita.

Che culo… mi è pure riuscita!

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