Al Passepartout Festival: «Da noi il cinema non è mai esistito. Ci sono stati grandissimi autori con successi. I geni sono stati Fellini, Kurosawa e Kubrick»
Nel corso del suo intervento al Passepartout Festival, il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha parlato naturalmente a lungo di cinema.
Qual è il suo rapporto con il pubblico?
«Di amore, perché io lavoro per il pubblico. Spesso si cerca di allontanare il cinema dal pubblico attraverso l’autorialità, invece io dico sempre che chiunque faccia un contenuto filmico è un autore, poi può piacere o meno, anche perché ognuno ha una capacità di decodifica diversa in base alla cultura e all’esperienza di vita che ha. La gente va al cinema per poi parlare di un film, ma magari si fa due palle così a vederlo. Ma la gente ha paura di isolarsi, vuole il contatto con gli altri. Magari ad un certo punto dice anche delle bugie: ‘Quanto è bello il film’, ma invece si è annoiata e non ci ha capito nulla, aspetta che un altro glielo spieghi. Il pubblico è straordinario, bisogna lavorare per il pubblico. Io l’ho fatto sempre: è un’operazione involontaria, quasi automatica, di marketing».
Sui cinepanettoni:
«Mi divertiva che i critici non capissero il genere e lo massacrassero. Non si sono resi conto che attraverso Craxi prima e il berlusconismo dopo, siamo diventati un po’ cafoni. L’italiano ha perso la sua forza trainante, che aveva avuto per risvegliarsi dal dopoguerra, quando c’era stato anche un risveglio culturale oltre ad un boom economico, perché la politica si è sgonfiata».
Parla della concezione italiana di chi ha successo.
«In Italia c’è la pratica negativa che il successo non si perdona. Essendo un paese cattocomunista tu non puoi avere successo. Non è come negli Stati Uniti, dove il successo è premiante».
Sul cinema in Italia:
«In Italia il cinema non è mai esistito. Sono esistiti dei grandissimi autori con dei piccoli, grandi, immensi successi. Dopo la guerra eravamo schifati all’estero perché credevano che essendoci associati ai tedeschi mangiassimo i bambini cotti nei forni. Quando abbiamo avuto il neorealismo con Rossellini e De Sica, all’estero hanno scoperto che eravamo persone perbene, normali e abbiamo riacquistato la nostra dignità. Poi abbiamo avuto le commediole, con Totò o i primi Alberto Sordi, poi il genio dei geni. Perché il cinema mondiale ha avuto tre geni: Fellini, Kurosawa e Kubrick, gli altri sono solo professionisti. Noi abbiamo avuto Fellini, che ha beccato due Oscar. Poi è venuto fuori Antonioni, che ha rappresentato la Vitti come una donna eterea e irraggiungibile, fin quando Monicelli le ha fatto fare un film commedia ed è diventata la vera comica italiana. Vedete come cambia? In quel momento avevamo conquistato il mondo con il film di genere girato in un inglese maccheronico, c’erano Sergio Leone, Bava, con i primi film horror. Gli americani allora hanno voltato pagina. Ci hanno detto: basta che non facciate il cinema, vi faremo fare tre film storici, Cleopatra, La caduta dell’impero romano e un altro, ma voi il cinema lo dovete abbandonare. Quando noi con Sergio Leone e gli altri siamo diventati la seconda cinematografia del mondo per vendite all’estero, gli americani si sono preoccupati e allora hanno preso un ministro italiano, Corona, e gli hanno fatto fare la legge 12/13 per cui non si poteva girare più in lingua inglese, né in teatri di posa, né prendere attori stranieri, e il cinema italiano è stato bloccato nella creatività. Il cinema esiste negli Stati Uniti e in Francia. In Francia, quando noi avevamo dallo Stato 35 milioni di euro per tutto il cinema, avevano mille miliardi a disposizione. Grazie a Franceschini c’è stata una svolta e oggi siamo arrivati a finanziamenti per 650 milioni ogni anno ma non c’è più solo il cinema per il grande schermo ma anche le serie tv».