L’Equipe e El Pais raccontano le origini di questo “regista” che ha conquistato la Champions e ora comanda la Nazionale: tutto merito della mamma, su una spiaggia brasiliana
L’Europa all’improvviso ha scoperto Jorginho. Anzi, l’Italia ha scoperto che l’Europa lo conosceva già: e ci stiamo mediaticamente facendo una ragione di avere un “frontman” al di là di Mancini. Ha vinto la Champions col Chelsea e rapito gli occhi di tutti per la regia “parlante” della scoppiettante Italia esordiente. Oggi, giorno di Italia-Svizzera L’Equipe e El Pais gli dedicano praticamente lo stesso pezzo: raccontano le origini di questo oriundo molto particolare, indagando la sua “nascita” calcistica e il ruolo attivo della mamma. Che una volta tanto non è la chioccia, ma la sua prima severa allenatrice.
L’Equipe parte da un’immagine: un “costume da bagno troppo grande o le spalle troppo fragili. Siamo nel 2006, nel sud del Brasile. Jorge Luiz Frello Filho, detto Jorginho, ha 15 anni, fisico da moscerino. Durante un torneo tra ragazzi a Imbituba, piccolo paese costiero noto ai turisti che vogliono vedere le balene in libertà, Mauro Gibellini, prolifico ex marcatore di serie B diventato direttore sportivo dell’Hellas Verona, nota il ragazzo e va a trovare sua madre. ‘Dovevo essere veloce a convincerla perché il San Paolo stava per reclutarlo’, ricorda. Gibellini ha appena aperto una scuola di calcio a Guabiruba, tre ore di macchina a nord, e Jorginho lascia la sua famiglia e la grande spiaggia sabbiosa dove sua madre gli ha insegnato a fare il giocoliere”.
Anche El Pais dipinge l’infanzia di Jorginho con gli stessi toni. Aggiungendo l’altro lato della stessa medaglia. Lui racconta: “Mangiavamo la stessa cosa tre volte al giorno e d’inverno facevamo la doccia con acqua fredda. Questo mi ha costretto a imparare molto sulla vita”.
Al Brusque-Guabiruba, scrive ancora L’Equipe, “il ragazzino snello arriva come trequartista, la posizione dei suoi sogni d’infanzia, ma l’allenatore del centro Mauro Bertacchini non lo vede in questo ruolo. “Voleva essere Kakà, un trequartista, ma io lo vedevo davanti alla difesa. In Brasile la posizione di regista non esiste realmente, il centrocampista centrale è solo un giocatore difensivo. Allora gli ho mostrato tanti video del Milan di allora, di Ancelotti, e gli ho detto: sarai il nuovo Pirlo”.
“In questo nuovo ruolo, il giovane Jorge sfodera l’ampiezza della sua tavolozza e un’intelligenza di gioco impressionante per la sua età. Bertacchini scrive all’attenzione dei club italiani, evocando “una grande lettura del gioco”, “un piccolo geometra che guida la costruzione dell’azione con autorità e semplicità”, “un allenatore in campo che dà istruzioni ai compagni” e conclude: “Jorge è un ragazzo di sorprendente maturità tattica, di ottimo livello tecnico, capace di giocare di prima intenzione grazie a una visione di gioco sopra la media e che va considerato, sin da ora, come un giocatore con un potenziale enorme”. Mentre rilegge i suoi appunti, l’allenatore sorride: “Era lo stesso di oggi, con quindici anni in meno“.
I due autorevoli quotidiani raccontano anche il difficile approdo a Verona. E il successo susseguente. Manca nel racconto tutta la parte in cui Mandorlini non lo fa giocare o lo impiega malissimo, in mille ruoli diversi dal suo. Cosa che ha raccontato lui stesso qualche giorno fa al Telegraph.
Il riepilogo della sua crescita è presto detto: la promozione in serie A nel 2013, il Napoli che se lo prende l’inverno successivo, le difficoltà con Benitez, che giocava col centrocampo a due, la rinascita nel 4-3-3 di Maurizio Sarri, “quando diventa il maestro di gioco della squadra più attraente di Europa”. E poi il Chelsea: qualche ombra con Lampard e la consacrazione con Tuchel.
I suoi compagni lo adorano, scrive ancora L’Equipe. E Zouma parla così della sua visione del gioco, del suo “passaggio Jorginho” così speciale:
“Un passaggio a un tocco nella parte posteriore della difesa, è incredibile, davvero incredibile. Non è velocissimo, ma compensa con l’anticipo e la precisione”.
Jorginho stesso lo spiega così: “Cerco sempre il passaggio che apra le linee dell’avversario. I miei passaggi possono sembrare banali, ma spesso è il passaggio che viene dopo il mio che porta ad un’occasione da gol”.
E poi parla. E parla e parla. Lo chiamano “radio Jorginho”: “Parti”, “torna indietro”, “vai avanti”, “vieni”, un continuo di istruzioni.
“Jorginho è il giocatore che sta sempre esattamente dove la squadra ha bisogno che stia“, riassume Gibellini. Perdiamo una palla? E lui è lì per riprendersela. Un avversario si trova smarcato nella nostra zona? Arriva in rinforzo. Un compagno di squadra ha problemi con la palla? Arriva subito lui per rendergli la vita più facile. Non è spettacolare, senza dubbio. E’ semplicemente essenziale.