Il commento di Signori. Una volta si chiamava Pietas. Oggi la potremmo ribattezzare dignità del sentirsi uomini. Una roccaforte umana ha aperto il cuore a tutti noi che guardavamo

“Basta! Via! Lontani da questa prigione dello spettacolo. Quelle maglie rosse e bianche si sono strette, le facce che pregavano un Dio, gli occhi che chiedevano pietà. Le mani conserte, le mani sulle spalle, una roccaforte umana ha aperto il cuore a tutti noi che guardavamo. Voi non dovete guardare, ci dicevano. Questo non è sport, non è spettacolo, questa è la lotta della vita. Questa è la lotta di Christian e di tutti noi con lui”.
Su Il Giornale, Riccardo Signori scrive della Danimarca che si è chiusa a proteggere Christian Eriksen finito faccia a terra durante la partita con la Finlandia. Momenti che hanno tenuto tutti con il fiato sospeso, una scena terribile, un silenzio assordante, allo stadio e davanti alla tv.
La squadra ha fatto muro nel difendere l’immagine del loro compagno.
“Catenaccio dell’amore: per la vita e per il compagno. Una volta si chiamava Pietas. Oggi la potremmo ribattezzare dignità del sentirsi uomini, voglia di togliersi la maglia del calciatore per ritrovare ogni sentimento che strappa l’angoscia. Nessun racconto di film e filmati potrà essere più commovente di quel manipolo di ragazzi schierati davanti a tutto il mondo. Eriksen ne sarà orgoglioso”.
Eriksen è uscito dal campo protetto da tre teli, con la squadra a fargli da scudo. Un corteo che Signori definisce “felliniano”.
“Infine quel felliniano scorrere di un corteo mesto e sacrale, tre teli bianchi e la bandiera danese a nascondere la barella con Eriksen finalmente ad occhi aperti. Ma loro, i suoi corazzieri, si sono mossi come le antiche testuggini romane di Marco Antonio. Tristi e fieri, amici e solidali. Legionari che levavano lo scudo delle maglie contro gli sguardi di un mondo guardone. Ma forse, stavolta, solo drammaticamente angosciato”.