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Bartezzaghi: «L’industria della “mentalità vincente” ha ribaltato lo sport e l’agonismo»

Su Repubblica: è cambiato il rapporto di causa-effetto, ora non sei un vincente perché vinci, ma vinci perché hai la mentalità vincente. E tutti hanno paura di essere il perdente

Bartezzaghi: «L’industria della “mentalità vincente” ha ribaltato lo sport e l’agonismo»

Queste sono – anche – le Olimpiadi della resa. Dell’eroe che si scopre umano. Dello stress mentale. Di chi lo ammette e lo affronta persino razionalmente – Simone Biles – di chi se ne sfama come un animale, tipo Djokovic. Alla fine ne parlano tutti, vincitori e vinti, in una processione di “capisco Biles”, “mi ci riconosco” eccetera. Ha tutto a che fare l’idea di agonismo, la “mentalità vincente”. Che è cambiata nel corso del tempo, e non è più quella di una volta. E non è mica detto che sia meglio.

Ne scrive in un’analisi su Repubblica Stefano Bartezzaghi. Il quale ricorda che “in un mondo non così remoto da non poterlo rammentare l’agonismo era un’occasione ricorrente di stabilire chi era vincitore, chi sconfitto (e quindi in attesa di rivincita). Una volta Bartali, un’altra Coppi. Una volta Mennea, un’altra Borzov”.

Ma per Bartezzaghi “la società mercantile, le tecnologie della comunicazione e il volano economico della pubblicità abbiano pervertito questo dato di fatto”:

“non solo corteggiò i campioni per farne dei testimonial negli spot o nelle liste elettorali, ma riuscì in una tipica operazione di manipolazione cognitiva. Non c’erano più vincitori e sconfitti. Essere dichiarato “vincente” non era più una conseguenza dell’aver vinto: ne era diventata la causa. Vince chi ha la “mentalità vincente”; vincere non è l’effetto di un’azione, ma è destino inscritto nel carattere“.

Una sovversione di causa ed effetto, dunque. Con due conseguenze, pratiche:

“Innanzitutto ha aperto il nuovo mercato dell’industria motivazionale, quella che promette di far acquisire la “mentalità vincente”, con l’indotto di tutti gli ammennicoli debitamente brandizzati che ne costituiscono l’ornamento esteriore: abbigliamento “tecnico”, accessori, dispositivi tecnologici, discorsi. In secondo luogo ha causato uno smottamento nel campo simmetrico. Così come è l’essere vincente che fa vincere, così lo sconfitto non patisce solo lo scacco ma anche la sentenza inesorabile che ne deriva: se hai perso è perché hai la “mentalità perdente”.

Per Bartezzaghi “così che si può spiegare l’isteria ormai parossistica con cui genitori altrimenti ragionevoli inveiscono a bordo campo contro avversari e arbitri nelle prove sportive della loro prole”. I genitori a loro volta “subiscono una più misteriosa, immateriale, almeno apparentemente folle” pressione: “l’ansia di non veder perdere i propri figli perché non vengano socialmente riconosciuti come “perdenti” e perché così non si sentano mai. Questo è più o meno il contrario dello spirito olimpico, del fair play e anzi dello stesso agonismo, correttamente inteso”.

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