Michela Murgia su La Stampa demolisce l’autocompiacimento italiano per aver proposto una campionessa nera e lesbica come portabandiera del Cio: “I diritti non vanno meritati, anzi sono diritti se tutelano chi non può guadagnarseli”
Le reazioni alla notizia che Paola Egonu – campionessa di pallavolo, nera, lesbica, italiana – sfilerà durante la cerimonia inaugurale tra gli otto atleti del Cio portando il vessillo olimpico (e quindi no: non sarà la portabandiera italiana, come ha scritto qualcuno), sono a scatto fisso. Sorpresa, applausi, retorica. Autocompiacimento, soprattutto, come fa notare in un commento su La Stampa la scrittrice Michela Murgia. Manco fossimo nel 1996, e non nel 2021.
Murgia commenta lo svilimento di «Paola Egonu modello di integrazione». Chiedendosi: “Egonu è nata in Veneto, è cresciuta a Cittadella, ha fatto le scuole qui ed è madrelingua italiana. A che cosa esattamente dovrebbe integrarsi?”
Definirla così – scrive – “è fuorviante se non discriminatorio, perché implica che la mancata integrazione di migliaia di persone nate in Italia (o arrivate qui da anni) sia in fondo colpa loro, dei loro errori, della loro mediocrità e dell’incapacità di somigliarci abbastanza da farci smettere di temere la loro differenza“. E fa giustamente notare che invece Paola Egonu, “benché nata e cresciuta qui, a causa dello ius sanguinis ha ottenuto la cittadinanza solo quando era quasi al termine delle scuole dell’obbligo”.
Il tema vero, in questo Paese che fa sempre di tutto per rendersi ridicolo (riuscendoci benissimo, tra l’altro), sono i diritti negati. E anche la loro stessa percezione.
“Intorno a persone come Egonu – penso a Mahmood, Elodie, Mario Balotelli, Sara Gama e qualunque italiano con una sfumatura di pelle diversa che si trovi a brillare nel suo ambito – si sviluppa il più grande degli equivoci discriminatori: quello che confonde l’eccezione con l’eccellenza”. Ma “un sistema genera eccellenza non solo quando riconosce il talento dei singoli, ma quando offre opportunità a chiunque voglia svilupparlo”.
“L’eccezione è l’opposto: è la condizione di chi ce la fa non grazie al, ma nonostante il sistema. L’eccezione è la categoria di chi è sopravvissuto”, come Enogu.
“La più elementare definizione dei diritti è che essi nascano proprio per chi non ha niente altro per farsi valere. Associare i diritti a una quale eccellenza implica che vadano meritati, quando è esattamente l’opposto: i diritti sono tali solo se agiscono a tutela di chi non potrebbe mai guadagnarseli”.