A Repubblica: «Sono un allenatore ambizioso e voglio giocatori forti e funzionali alla squadra. Guardiola mi ha folgorato»

Rino Gattuso torna a parlare. Sceglie Repubblica per rilasciare la sua prima intervista da svincolato dopo la breve parentesi con la Fiorentina: appena 23 giorni prima della rottura con Commisso. Il suo rapporto con il club viola non può essere ancora svelato fino in fondo, a causa della clausola di riservatezza su cui il tecnico e il presidente hanno recentemente battibeccato. Infatti, Gattuso si trincera dietro il “non posso parlare”.
«Sul tema non posso parlare, ma posso ricordare la mia storia: alleno da 8 anni e non ho mai fatto acquistare un assistito di Mendes, né lui me lo ha mai imposto. Neanche una volta. André Silva al Milan e Ghoulam al Napoli c’erano già».
Su Mendes:
«È un amico: ha grandissima esperienza e mi dà consigli per la mia carriera. Io rispetto sempre i ruoli: il mercato non spetta a me, ma ai dirigenti. Io sono un allenatore ambizioso e voglio giocatori forti e funzionali alla squadra. Indipendentemente da chi sia il loro agente».
Gli viene chiesto come mai De Laurentiis, che gli aveva proposto il rinnovo col Napoli, adesso nega di averlo fatto. Risponde:
«Non lo so. Io sono orgoglioso di avere allenato una grande squadra in una grande città. In una stagione con problemi e infortuni mai visti, abbiamo perso la qualificazione Champions per un solo punto, con partite spesso spettacolari».
Sulle accuse di razzismo, sessismo e omofobia da parte dei tifosi del Tottenham:
«Faccio fatica a credere che sia stato questo il motivo, al limite può essere rimasta nella loro mente l’immagine della mia lite del 2011 con Jordan, allora viceallenatore del Tottenham. Di sicuro io non sono né razzista, né sessista, né omofobo: sono state travisate vecchie dichiarazioni mie. Perché non chiedete ai miei ex compagni e ai giocatori che ho allenato del mio rapporto con loro? Io mi sono preso del terrone in tutti gli stadi: come razzista non sarei molto credibile. Quanto al resto, non perdo tempo con le sciocchezze. Piuttosto, la mia vicenda insegna una cosa. Che l’odio da tastiera è pericolosissimo e molto sottovalutato. Io sono un personaggio pubblico e ho la forza per reagire alle calunnie, ma non tutti riescono a sopportarle. C’è chi per debolezza magari si butta dalla finestra. È un problema serissimo: che cosa si aspetta a intervenire?».
Gattuso rivolge un appello ai giovani:
«Soprattutto ai più giovani dico: usate meno la tastiera. Vivete la vostra vita, non quella degli altri».
Parla anche della Nazionale.
«È la squadra che gioca meglio, divertente e moderna. Mancini ha il grande merito di avere scelto giocatori tecnici. Idee come le sue, in Nazionale, non si erano mai viste: si faceva un altro tipo di calcio, che ha portato anche grandi vittorie, ma in cui era impensabile Jorginho insieme a Verratti e Locatelli».
Sono giocatori «pensanti», dice.
«Sanno fare tutto, palleggiare, contare tempo e avversari, andare a occupare gli spazi. Se alzi la linea difensiva, fai meno fatica: devi coprire 20-25 metri, non 70-80. L’Italia ha sorpreso il Belgio con una pressione ultraoffensiva impressionante».
E parla del lavoro di preparazione delle partite.
«Preparare le partite richiede continua evoluzione. Dopo i primi 6 mesi, al Napoli, i 4 difensori sono diventati 3 più 1 che andava a rompere il gioco degli avversari, i terzini potevano stringere, il regista poteva avanzare vicino alla punta. Si ruota in funzione del palleggio e dell’occupazione delle 5 posizioni d’attacco: ne abbiamo tratto grande vantaggio».
Un allenatore, dice, «studia sempre».
«Col mio staff stiamo tanto in sala video, anche 5-6 ore al giorno: ci vuole tempo, ci sono tante cose interessanti in giro. Ho subito pensato che servisse qualcosa di più, per mettersi al passo del calcio europeo: prima ci si basava troppo sulla qualità dei giocatori».
Racconta di essere stato folgorato da Guardiola, incontrato nel 2013.
«Prima la mia idea di calcio era di dare un’organizzazione alla squadra. Poi con gli allenamenti del Bayern mi si è aperto un mondo: rotazioni folli, terzini che avanzavano a fare le mezze ali, mezze ali che finivano sottopunta, Ribéry e Robben che imballavano gli esterni. Gli avversari non ci capivano niente. Così ho chiesto a Pep. Mi ha raccontato la sua svolta, in Messico, nell’ultima stagione da calciatore, quando ha affrontato l’argentino La Volpe, l’inventore della famosa Salida Lavolpiana, la costruzione dal basso col centrocampista che si abbassa tra i due centrali difensivi. È da lì che ha tratto le sue innovazioni: l’ampiezza, il palleggio fluido, i terzini dentro il campo, le posizioni offensive. Ovviamente è tutto più facile, se cominci da piccolo. Da tanti anni in Spagna, in Belgio, in Olanda all’Ajax, ai ragazzini si insegnano palleggio e occupazione degli spazi».
In Italia non ancora.
«Ci stiamo arrivando, ma per molto tempo si è pensato per il 70% alla forza fisica. Il nostro calcio ha tante cose buone, da non buttare via. Un allenatore deve mettere da parte il proprio ego, l’integralismo non va bene. A me piace giocare sugli avversari quando hanno il pallone, con alcuni concetti del calcio italiano tradizionale, mentre ho rivisto la fase di possesso. Ma uno non deve essere malato di palleggio: tante squadre, per essere aggressive, accettano il 4 contro 4 in difesa e allora bisogna arrivare subito lì, anche col lancio del portiere, che per questo deve sapere essere anche un playmaker».