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Gli Europei ci dicono che Insigne è ben più di un buon giocatore

Articolo in dissenso napolista. Non è il campione che segna una generazione, ma ha lasciato il segno a modo suo, risultando presente anche nei momenti decisivi

Gli Europei ci dicono che Insigne è ben più di un buon giocatore
Roma 11/06/2021 - Euro 2020 / Turchia-Italia / foto Image Sport nella foto: esultanza gol Lorenzo Insigne

Lorenzo Insigne era probabilmente il giocatore più atteso dell’Italia, a questi Europei. Doveva dimostrare lo spessore della scorsa stagione col Napoli, di cui è stato il principale marcatore, e doveva porsi in modo credibile come figura di spicco in una Nazionale bella e vincente come fino a quel momento era stata la squadra di Roberto Mancini. Si è sprecata per lui la definizione di “leader tecnico”, che si devono sorbire quasi tutti i 10 del mondo. Serviva che confluissero contemporaneamente incisività, responsabilità e continuità. Altrimenti, sarebbe rimasto nel limbo del buon giocatore, quello che non puoi fargli un complimento senza metterci un’avversativa subito dopo.

A sette partite da questa premessa, quelle che sono servite all’Italia per vincere il torneo, Insigne – che ne ha giocate sei dal primo minuto, saltando quella meno importante col Galles – può decisamente collocarsi ad un livello più alto. L’ossessione di calciare a giro è diventato un marchio, un grido di battaglia e di unione, grazie alle reti a Turchia e Belgio. Si considerano i due che sono entrati, non magari gli altri otto che sono usciti. Specialmente il gol ai belgi, arrivato ai quarti e risultato decisiva per il punteggio finale, ha in qualche modo incrinato un altro dei capisaldi della critica di genere, per cui è un giocatore che nelle partite importanti tende a defilarsi. Un argomento quanto mai valido per coloro che hanno già scordato i gol a Liverpool, Real Madrid, Psg, finale di Coppa Italia, le tante reti a San Siro e così via.

Non è diventato il campione che segna una generazione, come non lo è diventato la maggior parte dei giocatori, anche fortissimi. Eppure gli Europei lo restituiscono al Napoli sotto una luce diversa, migliore. Hanno evidenziato un concetto, che Mancini ha fatto suo da quando siede sulla panchina della Nazionale, dandogli fiducia e la maglia numero 10: è meglio averlo, un calciatore così, e puntarci.

Durante la rassegna, Insigne è diventato anche un espediente tattico per rendere la manovra più fluida e la produzione offensiva più temibile, sopperendo alle difficoltà vissute da Immobile dagli ottavi di finale in poi. Mancini lo ha spostato al centro dell’attacco, un falso centravanti che più falso non si potrebbe, perché non ha mai giocato a ridosso della difesa avversaria ma ben più arretrato, per legare il gioco e creare scompiglio con i movimenti tra le linee. Una zona di campo in cui può tornare utile anche al Napoli di Luciano Spalletti, che potrebbe sperimentarlo alle spalle di Osimhen accentrandolo.

Nessuno la ricorderà come la coppa di Lorenzo Insigne, come nessuno riesce ad associare per meriti ad un solo giocatore la vittoria dei Mondiali del 2006. In nessuno dei due casi si è rivissuto qualcosa di simile al 1982, quando Paolo Rossi impresse il suo volto su quel trofeo. Ed è giusto così. La ricerca dell’eroe non deve distogliere dalla realtà, che oggi celebra un giocatore che non è soltanto “buono”, “normale”. È qualcosa in più, anche se è così difficile da accettare.

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