Niente odio, niente saccheggi e violenze come nel 1996. “Il Paese è cambiato, ha perso anche la forza per arrabbiarsi. Ora sospira, e va avanti”
Non fosse la Londra pronta a festeggiare la vittoria degli Europei parrebbe una scena di Blade Runner, quella che il Guardian racconta all’indomani della finale persa con l’Italia.
“Londra è stata sommersa da una grande alluvione, che ha depositato tutte le lattine e le bottiglie nelle strade e poi si è ritirata da dove proveniva. È arrivata una pioggia triste e cupa. Scoppia uno strano coro di Sweet Caroline, ma mite e senza convinzione. L’alcol è finito e la cocaina è svanita. È l’una di notte, gli Europei sono finiti e l’Inghilterra non è piena di odio, vendetta o risentimento. L’Inghilterra è stanca“.
Lontanissimo dalla melassa che ha invaso i giornali italiani da ieri, Jonathan Liew tratteggia la tristezza di un Paese che ci aveva creduto forse troppo. E dal quale ci si aspettava persino una reazione rabbiosa. Manco quella c’è stata.
“L’aspetto più intrigante di domenica sera: la relativa mancanza di problemi palesi o disordini civili di massa che ci si poteva aspettare a seguito della drammatica sconfitta dell’Inghilterra ai rigori. Fu proprio in questa piazza nel 1996 che i tifosi inglesi colpiti dalla sconfitta contro la Germania si scatenarono in una terribile furia, saccheggiando negozi e ribaltando auto. (…) Questa volta, ci sono stati alcuni incidenti isolati: il vandalismo di un murale di Marcus Rashford a Withington, il riprovevole abuso razzista dei giocatori di colore dell’Inghilterra su Instagram. Altrettanto prevedibilmente, questi atti sono stati istantaneamente dilatati e feticizzati da media che desiderava disperatamente che accadessero per generare abbastanza shock e indignazione da riempire i giornali di martedì. Ma nel complesso, l’Inghilterra non è bruciata. Almeno: non dopo”.
Per il Guardian “la maggior parte dei guai è arrivata prima dell’evento”. Ma ora, dopo, “le danze nude, le pinte di birra lanciate in aria, i canti, tutto questo giace da qualche parte nell’area liminale tra l’edonismo beato e la delinquenza testa di cazzo”. Insomma non c’è. Perché “Collettivamente l’Inghilterra ha perso la testa, ma lo ha fatto prima che il pallone fosse stato calciato”.
Ne aveva bisogno, il Paese. Scrive Liew. “La crescente privatizzazione dello spazio pubblico, l’assalto al governo locale da parte delle amministrazioni conservatrici, la polarizzazione economica, la dispettosa politica di divisione: tutto questo ha costantemente spazzato via gli sbocchi per esprimere chi siamo, in un luogo, insieme. E così la rabbia si imbottiglia, frizza e ribolle, finché non esplode. Il calcio è diventato uno dei principali canali di sfogo di questo sentimento represso a causa della sua portata e popolarità, ma la storia specifica di questo sport conferisce alla mania del calcio un particolare carattere insensibile. Il trattamento vendicativo dei tifosi da parte dell’establishment negli anni ’70 e ’80 essenzialmente ha creato uomini brutalizzati e arrabbiati per lo più della classe operaia che hanno adottato il personaggio, perché era l’unica identità rimasta a loro disposizione. E quando il movimento è cresciuto di nuovo negli anni ’90, invece di considerare come questa cultura potesse essere reintegrata, il calcio ha solo sperato che se ne andassero. Questo potrebbe spiegare perché la Scozia, una società più coesa e meno infantile dell’Inghilterra, produce relativamente pochi problemi quando gioca la sua nazionale”.
Invece “l’Inghilterra nel 2021 non è un luogo odioso e animalesco. Ma un paese profondamente e deliberatamente diviso, trattato con sudicio disprezzo dai suoi politici: spogliato dell’orgoglio e dell’aspirazione, dell’investimento personale e della semplice gioia. E così, nonostante tutti gli infausti auguri, non sorprende che quando la sua squadra di calcio perde una finale importante, non strappi. Sospira semplicemente, torna a casa e aspetta pazientemente il prossimo ronzio”.