Lo scrittore, opinionista di El Pais, a La Stampa: «Abbiamo sempre avuto una sudditanza psicologica. Oggi siamo molto più deboli, come squadra. Ma nel frattempo c’è stata quella svolta»
Su La Stampa un’intervista a Javier Cercas, scrittore e saggista spagnolo, opinionista di El Pais. Parla di calcio e storia di Italia e Spagna a pochi giorni dalla finale che vedrà contrapposte le due Nazionali in Euro 2020. Nato in Estremadura ma cresciuto in Catalogna, è un grande tifoso del Barcellona.
«L’Italia per la Spagna è l’avversario peggiore, il fratello, ma anche un pezzo del nostro inconscio collettivo di spagnoli che sottolinea una nostra sudditanza psicologica, direi atavica, verso di voi. È una cosa che voi italiani non sempre capite bene, quanto vi amiamo e quanto però siamo stati in sudditanza verso di voi, come un modello, quasi un mito».
Dice che «ci sono momenti che cambiano la Storia. Anche la nostra percezione verso l’Italia ha avuto uno di questi momenti».
Vale anche per il calcio.
«La Spagna vive uno di questi momenti anche nel calcio, nel suo rapporto con l’Italia. Accade nell’europeo del 2008, quando vi battiamo ai rigori. Voi forse non lo sapete, ma nella nostra coscienza collettiva la finale è quella, con l’Italia. Quando andiamo ai rigori, con Buffon in porta e l’Italia davanti, sono certo: abbiamo perso. La svolta invece avviene lì: quando Casillas para i due rigori e Fabregas segna quello finale. Quella era la squadra di Iniesta, Xavi, Casillas, del giovane Fabregas, di Sergio Ramos, la Spagna che poi vinse tutto. La vittoria ai rigori è l’istante che cambia tutto: per la prima volta invertiamo quel tradizionale senso di inadeguatezza che abbiamo verso sempre avuto verso di voi. Oggi siamo molto più deboli, come squadra. Ma nel frattempo c’è stata quella svolta. Anche se per noi l’Italia resta l’avversario peggiore».
Continua:
«Siamo due fratelli, che spesso soggiacciono a quello che io chiamo il narcisismo delle differenze, la voglia di sottolineare gli aspetti che ci dividono, e ce ne sono, ma sono infinitamente meno di quelli che ci rendono simili. Tra spagnoli e italiani c’è lo stesso rapporto che può esserci tra Estremadura e Catalogna, o paesi baschi: certo, c’è diversità. Ma siamo di base la stessa cosa, e la stessa lingua. In Giappone, o in America, io vengo scambiato per italiano. A Palermo, dove ero la scorsa settimana, è pieno di Spagna, gli anziani mi capiscono anche se parlo spagnolo».
Poi c’è la letteratura.
«Intere generazioni di scrittori spagnoli sono cresciuti nel mito di Petrarca e del petrarchismo. Calvino e Pavese sono stati l’idolo dei narratori della mia generazione. Forse i calciatori non lo sanno, ma queste cose pesano poi anche sul calcio».