Contro l’Inghilterra abbiamo visto due volti: un po’ di gioco all’italiana e un po’ di sarrismo. Uguale, gioco alla Mancini
I giocatori inglesi si sono scimuniti a correre appresso a undici giocatori italiani, trasformati per l’occasione in undici centrocampisti passing game con licenza di offendere. È stata la mossa che ha fatto saltare il banco. L’orgoglio britannico ha fatto il resto. Con umiltà potevano tentare di dar battaglia, dando fondo a tutto il fiato disponibile. Non è mai detto, però, che un inglese perda tempo a inseguire il proprio avversario. Specie se si chiama Harry Kane o Raheem Sterling. Chi li ha visti?
Italia / 1. Due volti di nazionale, difensiva o dominante
Ma è la partita in sé che merita l’elogio del team azzurro. Mancini è stato l’architetto della vittoria con la sua non curanza per la rigidità che sfiora a volte la fobia calcistica. Ha messo in campo, a partita in corso, due volti di nazionale, ben impostati tatticamente e in possesso di due filosofie di gioco. Una per “italianizzare” la partita, rispondendo con azioni di contropiede alla pressione avversaria che si proponeva di dominarla. L’altra per stordirla con l’occupazione degli spazi e il possesso palla.
Come dire un po’ di gioco all’italiana e un po’ di sarrismo. Uguale, gioco alla Mancini. Il gruppo ci aveva provato. “Impadroniamoci della partita fin dalle prime battute e ce ne freghiamo di Wembley, del duca di Cambridge e di tutto l’ambaradan messo su per la vittoria”. Però, le cose vanno diversamente. Le intenzioni italiane non sfondano. La squadra retrocede di metri. “Troppo bassa”, grida Mancini ai suoi. Ma il gioco all’italiana è fatto così, fin dai tempi di Vittorio Pozzo. Si soffre e si caricano le batterie. Corrono qualche pericolo pure gli inglesi, in omaggio alla linea bassa degli italiani e al vituperato contropiede.
Italia / 2. Si palleggia e gli inglesi vanno in astinenza
Nel secondo tempo Mancini cambia tutto. La squadra palleggia all’infinito, il fronte rimane alto, gli inglesi non beccano palla. Tra primo e secondo tempo due filosofie di gioco. Per l’Italia cambiano gli schemi, ma non gli umori vittoriosi, di chi sa che può vincere la partita anche col catenaccio, furbo e difensivista. O farla propria con le copie rivisitate del mito catalano.