E’ stato da solo l’attacco italiano, almeno quello percepito: il pericolo costante. L’altra faccia vincente di Donnarumma, Chiellini e Bonucci. Un terrorista al nostro servizio
L’inevitabilità di Chiesa ha preso le sembianze del terrore quando gli inglesi hanno deciso di scavare una trincea nel prato di Wembley. Tra le due linee da cinque – prossime, quasi aderenti – s’intravedevano Immobile e Insigne, i loro stenti, impegnati a rimbalzare come mosconi tra due vetri chiusi. Libero, altrove, si muoveva invece lui, col suo segreto inespugnabile: restare implicito. In potenza. Ogni volta che il pallone ronzava dalle sue parti era il caos: sbandate, virate, cadute, strappi. Spesso Chiesa resta così, allo stato gassoso. Magari segnano altri, o trova da solo la soluzione. Ma è un attimo prima il momento in cui vince le partite per via telepatica. Quando lo sbigottimento dell’avversario diventa un’angoscia, ne modifica l’atteggiamento tattico. E’ la presa del potere mentale. Non è forse l’attesa di Chiesa, l’essenza stessa di Chiesa?
Di tutte le punte italiane, per l’Europeo intero, Chiesa ha vestito come un abito su misura il ruolo del pericolo. E’ stato da solo l’attacco italiano, almeno quello percepito. La scintilla, l’innesco. Qui l’abbiamo definito una “variante”, che poi è diventato l’unico possibile tragitto verso il trionfo finale. Non da solo certo, ma “unico”: ha rappresentato la sorpresa con un ritmo costante. Il dispetto incombente. Anche solo saperlo lì è diventato un assillo.
Chiesa è un caos, e lo è per il calcio italiano in primis. Mancini dopo un paio di partite ha compreso l’irrinunciabilità del presidio, ed ha avuto il buon gusto di adattarsi. L’elasticità del ct è una dote che gli riconosceranno, con calma, appena la festa alticcia si sarà asciugata della ridondanza del “sogno”. L’ha seminato a destra, dove prima si muoveva Berardi col piede opposto. Poi anche sinistra, ma solo un po’. E ha continuato a catechizzarlo per guidarlo in un percorso tattico che Chiesa – per indole – fa fatica a rispettare. Per il resto ha accettato anche lui l’ineluttabilità delle scosse elettriche: un po’ di fastidio per l’equilibrio dell’Italia, uno conquasso per le difese.
Il segreto di Chiesa è essere controintuitivo. Insopportabile, anche. Ma fa parte dello stesso disegno. Sul fatto che salti l’uomo – e che questa sia una qualità di cui ci sorprendiamo solo in Italia, dove c’è penuria di giocatori così – non c’è discussione. Ma il passaggio successivo, quello davvero vincente, è il disordine che ne deriva. Chiesa ha il dono di trasformare una partita in una contesa da ragazzini in strada. Uno contro uno, contro due, contro tre. Senza remore. La chimica base del pallone tradotta in una finale Europea. Un lusso.
Se dietro Donnarumma-Chiellini-Bonucci si sono fatti un Ministero della Difesa autoprodotto, davanti Chiesa ha riempito un vuoto. Un vuoto a vincere. Alzando il suo livello personale partita dopo partita, e poi, arrivati all’ultimo atto, minuto dopo minuto, prima di cedere zoppo con una caviglia dolorante. Nel frattempo non solo gli inglesi ma persino l’italiano medio s’erano assuefatti a quella strategia della tensione. Il nostro guastatore. Un terrorista, a suo modo.
L’analisi in contropiede, il nostro bisogno di trovare peli nelle uova, dovrebbe indagare il mistero della sua panchina iniziale. A questo punto: chi se ne frega. La vittoria è un’amnistia. Mancini è in pieno – e giusto – processo di beatificazione, è diventato persino testimonial delle Marche (dopo cos’altro? L’Oscar? Il Nobel? Un porporato?). E gli va ascritto anche questo merito, tra gli altri. Aver invitato alla festa quello che aveva il potere di farla fallire.