La lite all’epoca della trattativa di Donnarumma col Milan. Lui aveva ricordato il suo matrimonio (un figlio di De Benedetti) e mandata a quel paese

Libero la mette sul politico. Racconta che la giornalista Rai Paola Ferrari ha perso la causa per diffamazione con Mino Raiola (lei aveva denunciato per diffamazione lui) e il quotidiano scrive che il giudice (una donna, Valeria Chirico) le ha dato torto perché Ferrari è di destra.
A giugno 2017 Paola Ferrari, su Twitter, aveva preso posizione contro Donnarumma in trattativa col Milan.
«Donnarumma non dovrebbe indossare la maglia della Nazionale per un anno», aveva tuonato la Ferrari. «Codice Etico? Quale peggior esempio di chi tradisce per i soldi?». E poi: «Chi indossa la maglia della Nazionale deve essere un esempio per i giovani e lui non lo è più».
Due giorni dopo, ricorda Libero (ripreso da Dagospia), Raiola aveva replicato così:
«Ho sentito una giornalista importante della Rai dire che Gigi dovrebbe essere tolto dalla Nazionale per un codigo (sic!) etico, perché si è venduto per soldi, una signora che ha sposato una persona che gestisce uno dei fondi… hedge fund più grandi del mondo». Il riferimento di Raiola era al marito della Ferrari, Marco De Benedetti, imprenditore e corresponsabile del fondo di investimenti Carlyle. Un uomo che, per Raiola, «si sveglia la mattina e pensa ai soldi, va a letto e pensa ai soldi».
E, aggiunge il quotidiano:
Altra colpa della Ferrari, secondo l’agente, sarebbe stata quella di non essersi indignata per il lancio di banconote false da parte dei tifosi all’indirizzo del portiere («Che tristezza i dollari lanciati. Ma era prevedibile», aveva detto la Ferrari). Ebbene, secondo Raiola, «è inutile che noi discutiamo di terrorismo e poi non prendiamo distanza di certe cose che ci capitano sotto casa». Da qui l’attacco finale: «Perciò io mi incazzo con quella Paola. Porca puttana, come cazzo ti permetti di dire codigo etico. Tu? Codigo Etico? Ma vattene a fare in culo tu e tutto Carlyle».
La Ferrari aveva così denunciato Raiola per diffamazione: chiedeva un risarcimento di 5 milioni di euro da destinare alla Fondazione Stefano Borgonovo per la ricerca sulla Sla.
Il tribunale – scrive Libero –
ricomprende le affermazioni di Raiola nel diritto di critica che «può essere esercitato utilizzando espressioni anche lesive della reputazione altrui, purché siano collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato (…) e non si risolvano in un’aggressione gratuita».
Quanto al parallelo tra Donnarumma «venduto per soldi» e la giornalista coniugata con un ricco imprenditore, non si tratterebbe di un accostamento offensivo, ma un modo legittimo di evidenziare che il marito della giornalista e Raiola perseguono il «medesimo obiettivo», e cioè la «massimizzazione dei profitti». Quanto al paragone con il terrorismo, «tale frase non accomuna» la Ferrari «ai terroristi ma appare semplicemente volta a (…) criticare il suo commento».
Ma dove il tribunale si sbizzarrisce è nell’approvazione degli insulti. Per la giudice, «“ma vattene a fare in culo” non costituisce condotta idonea a ledere la reputazione», ma rientra tra quelle «espressioni che, pur volgari, nel contesto di un generale fenomeno di impoverimento del linguaggio e del costume, sono diventate di uso comune», assumendo altri significati: «“vaffanculo” viene impiegata nel senso di “non infastidirmi”, “lasciami in pace”» cosicché il Vaffa di Raiola sarebbe servito solo «a porre fine alla querelle, sia pur con maleducata insofferenza».