Al Corriere: «Una volta una pattuglia della stradale mi scambiò per il fratello del calciatore. Risposi: secondo voi uno ha 12 figli e li chiama tutti allo stesso modo?»
Il Corriere della Sera intervista l’attore Paolo Rossi. Racconta alcuni episodi della sua carriera e della sua vita. Come quella volta che, a Milano, durante uno spettacolo, fu minacciato da uno spettatore armato di pistola.
«Quella sera al Derby di Milano, locale molto borderline, me la sono vista brutta. Un tizio del pubblico, che era ubriaco, mi punta la pistola perché non lo stavo facendo ridere. Io ho reagito da vigliacco: sono rimasto fermo a guardarlo. E lui mi dice: sentiamo la prossima battuta se mi fa ridere. E io rispondo: lo spettacolo è finito, grazie e arrivederci… Insomma, non potevo rischiare di non farlo ancora ridere e di morire per una battuta poco divertente…».
Uno dei suoi primi successi a teatro fu con l’interpretazione di un monologo razzista, in cui era il naziskin.
«Eravamo in un teatro a Pordenone. Io recitavo un monologo razzista, ovviamente con tanta autoironia: era una lunga invettiva, assolutamente comica, contro i meridionali, i diversi, i neri… ma gli spettatori mi applaudivano ad ogni battuta come se fosse un comizio. Allora mi sono fermato e, rivolto alla platea, ho detto: i meridionali faranno pure schifo, così i diversi, come i neri, ma la peggiore gente che ho mai conosciuto in vita mia, l’ho incontrata in questo teatro… e potete andarvene tutti».
Il giorno dopo c’era la fila al botteghino per assistere allo spettacolo.
Parla della comicità di un tempo, quella che aveva come bersaglio i politici, e della differenza con quella di oggi.
«Nel caso del Berlusca, la gente rideva, applaudiva e poi lo votava, quindi ti ponevi il problema: forse ho sbagliato bersaglio. Ma la questione non riguarda solo lui: dalla metà degli anni 90, i politici in genere hanno cominciato a capire che gli spettacoli di noi comici li rendevano visibili e ci lasciavano fare. Poi hanno cominciato addirittura a farci i complimenti e persino ad imitarci».
Aggiunge:
«Un politico, autentico genio dell’ironia, era Giulio Andreotti, una specie di Buster Keaton».
Tra gli aneddoti di cui è piena l’intervista anche uno sulla sua omonimia con Paolo Rossi calciatore. Una volta una pattuglia della stradale lo scambiò per il fratello di Pablito.
«Percorrevo la Bologna-Cesena. Una pattuglia della stradale mi ferma per un controllo e, quando leggono il mio documento, mi chiedono se ero fratello del calciatore. E io ho risposto: secondo voi uno ha 12 figli e li chiama tutti allo stesso modo?»