Quando si ha il privilegio di vivere la storia, lo si capisce. Ed è successo con l’oro nella 4×100. Lo sport è potere e spesso è ridicola propaganda ma questa è un’Olimpiade irripetibile. E Malagò ha stravinto
Sono giornate come questa, Olimpiadi come questa che ti fanno comprendere che non è questione di passatismo, che siamo ancora in grado di riconoscere quando abbiamo il privilegio di vivere la storia in prima fila. Come cantava De Gregori
“la storia non si ferma davvero davanti a un portone, La storia entra dentro le stanze, le brucia, La storia dà torto e dà ragione”.
E la storia siamo anche noi, in qualche modo, quando Filippo Tortu si carica sulle spalle un’occasione storica, non pensa a quella tempesta che avrebbe potuto travolgerlo, lui che fino a pochi mesi fa era il predestinato dell’atletica italiana e poi è stato spazzato via – come tutti – dal ciclone Jacobs. Tortu non ha pensato nulla, è andato controvento e ha ripreso l’inglese Nethaneel Mitchell-Blake, è finito un centesimo davanti a lui. Un arrivo storico, come e forse incredibilmente persino più di quello di Jacobs che ha trascinato la staffetta in seconda frazione. Italia regina della velocità. Medaglia d’oro nei cento metri. Medaglia d’oro nella 4×100 alle Olimpiadi. L’atletica leggera che regala cinque medaglie d’oro su dieci. L’Italia che al momento è settima nel medagliere, davanti alla Germania.
La storia spazza via tutto. Queste Olimpiadi passeranno alla storia come le olimpiadi della luna. Perché sì, ormai lo sport è accompagnato da una propaganda che può essere definita solo ridicola – non c’è altro termine – ma in questo caso cambia tutto. Ora non si gioca più sul numero di medaglie, facendo finta di non sapere che nel 1960 si assegnavano un terzo delle medaglie rispetto a oggi. Quindi è grottesco il paragone. Ma dieci medaglie d’oro e soprattutto l’incoronazione nella velocità dell’atletica leggera ci riportano in un’altra dimensione. È la conquista della luna dello sport italiano.
Ci siamo divertiti con la guerra per bande, su Malagò che abbiamo definito più culo che anima. Che domenica scorsa, 1° agosto, con gli ori quasi in contemporanea di Jacobs e Tamberi, ha visto invertire il trend di queste Olimpiadi. Perché ormai lo hanno capito anche le pietre che lo sport è politica, è potere, la vicenda superlega ha svezzato anche i più riottosi ad aprire gli occhi. Lo sport è potere. Nello sport e non solo. Perché lo sport spalanca le porte dell’immaginazione, fa sognare, affratella. Fa superare gli steccati. E oggi, piaccia o no, Giovanni Malagò entra nella storia dello sport italiano. Persino in un’Olimpiade in cui l’Italia va a fondo nelle discipline a lei tradizionali come la scherma, in cui delude negli sport di squadra, in cui nel canottaggio racimola poco rispetto alle attese.
Perché i 100 metri e la 4×100 sono oltre. È una doppietta che mai nessuno avrebbe nemmeno sognato. Non solo a queste Olimpiadi. Nella velocità l’Italia è sempre stata più o meno spettatrice, consapevole anche dei propri limiti fisici. Ricordiamo come un momento irripetibile l’argento della 4×100 ai Mondiali di Helsinki 83: Tilli Simionato Pavoni Mennea. Secondi dietro il treno guidato da Carl Lewis con in terza frazione Calvin Smith che si piegava come un motorino. Lo stesso Lewis, il figlio del vento, che ha criticato aspramente la staffetta Usa rimasta fuori dalla finale per un pasticcio nel cambio. Quella staffetta statunitense stravinse in 37 e 86. La nostra di oggi – Patta, Jacobs, Desalu, Tortu – l’avrebbe battuta di 36 centesimi. Il giorno in cui l’Italia è andata sulla luna.