Chi ci riesce trasforma i contratti in arma di ricatto, altrimenti si dichiara prigioniero del capitalismo. Il calciomercato è ormai un porno per commercialisti

Ma quanto devi essere fesso, Karry Kane, per firmare nel 2018 un contratto da 6 anni manco fosse il posto fisso in banca degli anni 80. Dovevi renderti conto, quando ancora le vacche transumavano ingrassate dal calciomercato pre-pandemico, che un giorno saresti rimasto imbrigliato in una prigione dorata. Il Manchester City avrebbe avuto pronto un bonifico da 125 milioni di sterline pur di liberarti, e tu niente: bloccato agli Spurs dalle catene d’una firma. Lo scrive con sobrietà inglese il Telegraph: è stato un errore da pischello, “ormai che senso ha per un top player legarsi per più di tre anni ad un club?”.
Guarda Locatelli e Mbappé (spericolatamente finiti nella stessa frase, ce ne rendiamo conto). Uno ha deciso che pur essendo milanista dall’asilo nido il suo “sogno da bambino era vestire la maglia della Juve”, ed ha quindi veicolato una trattativa forzata tra il Sassuolo e i bianconeri finita in un acquisto con formula Lidl: prendi oggi, paghi nel 2023 (il Metodo Locatelli, abbiamo scoperto che nel mondo reale non funziona granché). L’altro rifiuta l’idea di giocare nei Paris Globetrotters con Messi e Neymar e vuole andarsene subito al Real Madrid. In comune c’è il contratto in scadenza, l’ultimo baluardo fake del far west calcio.
Il filo logico è lo stesso: i calciatori lo usano come leva di ricatto quando s’avvicina l’eventualità d’un rinnovo, o si fingono vittime del capitalismo quando vogliono liberarsene a piacimento stracciando il vincolo. Fingendo, in un modo o nell’altro, che davvero conti ancora qualcosa. Alcuni, i più naif, cercano disperatamente di mettere in piazza fantomatici gentlemen’s agreement. La parola data, dicono. Mattacchioni.
Nel frattempo assistiamo ad un vilipendio sistematico del contratto di lavoro, del suo suo stesso significato legale e storico. Ogni trattativa reitera questa idea novecentesca di subordinazione come se ancora avesse un significato in un mondo che ormai funziona a cottimo. I contratti sono diventati un falso problema, monodimensionali: servono a stabilire lo stipendio, ma la durata del vincolo, quella è ormai solo una formalità. Firma qui, del doman non v’è certezza. Hai visto che mai che arriva una pandemia a far scoppiare la bolla?
Il caso Locatelli-Mbappé (di nuovo: scusate) è esemplare. Il giocatore forza la mano al datore di lavoro, sapendo che il club si muove in una condizione di subalternità. I più scafati tra i presidenti agiscono per tempo, con flessibilità, proprio per evitare di ritrovarsi ricattati. La depravazione comunicativa, poi, arriva a raccontare il campione quasi come un benefattore: in fondo, si legge spesso, gli ha fatto un favore ad andarsene prima del tempo alle sue condizioni-capestro, c’è andata bene anche la società.
Per cui se Locatelli rifiuta di andare a giocare in Premier League, il Sassuolo a sua volta deve rinunciare a 40 milioni sull’unghia offerti dall’Arsenal, accettarne 35 postdatati e ringraziare pure. La deformazione del sistema è tale che il Sassuolo, paradossalmente, potrà mettere a bilancio nel 2023 una plusvalenza totale che altrimenti sarebbe saltata. Un porno per commercialisti, questo è diventato il calciomercato.
È ormai socialmente accettato che tenersi in squadra un calciatore, o un allenatore, “scontento” nuoce gravemente alla salute. Per cui la paga, regolarmente contrattualizzata, diventa insopportabile come solo gli alimenti a certi ex coniugi. Il dibattito annesso è indecente, come se i professionisti raccogliessero palloni nei campi sfruttati dal caporalato dei presidenti.
Antonio Conte – per non dimenticare – è riuscito a farsi riconoscere una buonuscita da 7 milioni di euro netti (il corrispettivo di un anno di stipendio di Mourinho) per avere la possibilità di cercarsi un’altra squadra o di non fare assolutamente nulla. Aveva subodorato il disfacimento dell’Inter, ma aveva un contratto – pesantissimo – fino al 2022. È bastato dirsi “deluso”. Ecco il cortocircuito: nel mondo reale se vuoi andare via dai le dimissioni, rinunci all’ultimo anno di stipendio e sei libero di sentirti deluso quanto vuoi. Oppure accetti di buongrado le decisioni del tuo datore di lavoro e fai buon viso a cattivo gioco. Perché? Beh, perché hai appunto un contratto in vigore. In quale altra azienda di quale altro settore il malcontento dell’impiegato viene coccolato e riconosciuto con una liquidazione monstre?
Poi ci sono presidenti come Daniel Levy, che s’impuntano ed essendo ricchi sfondati possono permettersi il lusso di rifiutare 150 milioni di euro per principio. Al boss del Tottenham non piace essere messo alle strette, quando vende non fa prigionieri: chiedere a Berbatov, Modric o Bale. E’ la versione più ecologica e sostenibile dei vari Lotito e De Laurentiis che mettono fuori rosa Pandev e Milik, per dirne solo due. Ma è l’eccezione ad una regola con una casistica infinita.
Kane è una specie in estinzione: uno degli ultimi lavoratori subordinati allevati nella cattività del calcio pagato a gettoni d’oro. Costretto a prender lezioni di neoliberismo da Locatelli, per giunta. Da Kane a Keynes è un attimo, in fondo.