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In cinque anni, all’estero, mai un disservizio con Dazn

Poco importa se siamo tra quelli che non hanno visto il rigore di Insigne. Se avere uno streaming fluido è una priorità per la nostra vita, scegliamo le nostre residenze di conseguenza

In cinque anni, all’estero, mai un disservizio con Dazn

Doverosa premessa: non vivo in Italia e non ho interesse ad entrare di diritto in nessuno dei gruppi pro o contro il calcio su streaming. Semplicemente, da abbonato DAZN in Germania da cinque anni e lavorando nel settore del cloud business da qualche anno in più, vorrei dire che stavolta, nella discussione sui famosi disservizi telematici, siamo un po’ vittime dello stato semi-patologico dell’informazione ai tempi dei social network.

La premessa minore è che non c’è dubbio sulla validità della scelta strategica: le piattaforme di streaming online sono l’oggi e il domani dell’intrattenimento digitale. Per due motivi ovvi: sono scalabili – cioè offrono servizi che possono funzionare, a parità di qualità, per dieci cento mille o milioni – e forniscono contenuti di cui si può usufruire su una pletora di dispositivi – tv, cellulari, laptop, tablet e via discorrendo. Inoltre, non essendo vincolati ad un hardware specifico, permettono all’utente di consumare il servizio pressoché ovunque, senza la necessità di portare con sé dieci metri di cavo, una parabola, uno scatolotto di metallo e un tecnico per l’installazione con un trapano. In ultimo, riguardo alla qualità, la strada è già segnata: altre piattaforme forniscono online contenuti audiovideo in ultra hd da anni, per cui con il tempo e gli investimenti necessari il futuro ha già parlato.

Ora sul punto: i disservizi. Per un business che funzioni online, esiste il cosiddetto livesite: il controllo in tempo reale, tramite telemetria, della qualità dei servizi offerti o, come suol dirsi, della customer experience. Una società che operi in questo campo ha generalmente sistemi sofisticati di automazione (oltre a ingegneri reperibili 24/7) per la risoluzione di incidenti. Questo significa che se DAZN rileva un problema in produzione (e mi pare lo abbia confermato), ne ha notizia immediata – e spesso prima che il cliente se ne accorga – potendo così risolvere l’inconveniente nel giro di minuti. È il motivo per cui tutti noi abbiamo avuto un inconveniente con un servizio di chat, di storage, di musica online che è stato poi risolto senza alcun nostro reclamo (e con meno platealità). Diversamente, chi ha un problema con la parabola, chiama un signore, chiede un appuntamento e aspetta che chi di dovere faccia visita a casa per metter mano alla cavetteria.

Dove la discussione è incatenata alla informazione deformata tipica del nostro tempo è sulla dimensione del problema: in un business sul cloud, l’impatto sui clienti, ovvero la scala del problema, è tutto. Ed il fatto che io o cinque altri conoscenti, o anche dieci, non siamo riusciti a vedere il rigore di Insigne potrebbe non voler dire molto. Potremmo essere l’1% della base di clienti dell’operatore. O il 5%. In questo tipo di campo funziona così: si calcola il rischio, si fornisce il servizio, si monitora e si reitera. È la natura della tecnologia stessa che supporta il modello alla sua base a definire un tale approccio: il software alle spalle, l’infrastruttura, sono costantemente migliorabili mentre gli utenti già ne stanno usufruendo. C’è, insomma, un modello economico e tecnologico incrementale.

Se, dunque, anche il 5% degli utenti DAZN ha avuto problemi a seguire un incontro, potrebbe non essere un dramma. Se le responsabilità tecniche sono della società e se essa contribuirà a diminuire questa frazione di disservizi, la strategia è corretta. Se oggi siamo parte di quel 5%, quindi, la chiave di lettura è evitare di rendere la conoscenza aneddotica una verità generale, per un gioco di induzione. Io, il mio amico, mio cognato e altri sette conoscenti potremmo non essere una metrica fondamentale del discorso.

Aggiungo un’ultima considerazione: i servizi online si basano su infrastrutture di telecomunicazione che arrivano nelle nostre case. L’acqua, l’elettricità sono un diritto. Il calcio non lo è. E, ad oggi, piaccia o no, neppure la connessione lo è – in questo ha forse ragione Porro, il digital divide fa scalpore solo quando gioca Petagna, molto meno se i nostri figli poi non sanno fare le addizioni in quarta elementare perché la didattica a distanza è inesistente. Ciò significa che, se avere uno streaming fluido è una priorità per la nostra vita, allora è bene trattare questo aspetto con la stessa importanza con la quale si considera la distanza tra la nostra porta di casa e la scuola dei ragazzi, o una fermata del bus o l’inquinamento cittadino. Non si può vivere in qualunque posto, pensare di pagare dieci o venti euro al mese ed avere il bitrate assicurato. Non funziona così.

E continuerà a funzionare così sempre meno. E sempre meno ci piacerà, perché questo divide non farà altro che amplificare le distanze all’interno del nostro paese e tra il paese e il resto dell’Europa.

Per inciso: in cinque anni non ho mai avuto disservizi degni di nota da DAZN. Anzi ricordo di aver assistito alle partite del Napoli anche in Repubblica Ceca, in Francia, in Inghilterra con lo stesso unico abbonamento sottoscritto. Non conosco i volumi coinvolti (numero di clienti tedeschi e clienti italiani), quindi un confronto non è possibile e la mia esperienza conta poco. Ma, se mi limitassi alla famosa dannosissima aneddotica, direi che l’unico grande disservizio che ricordi fu durante un Napoli Udinese, di più di una decina d’anni fa, quando invitai familiari e amici a vedere la partita a casa con un video proiettore nuovo connesso a una box per il digitale terrestre e un temporale ci impedì la visione di più di metà del match.

Il problema è che tutti questi racconti sono accalorati ricordi ma costituisco solo rumore che inficia la qualità della discussione. La pandemia e la storia dei vaccini dovrebbero insegnarcelo.

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