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In un quarto d’ora, Malagò passa da imputato numero uno alla storia dello sport italiano

“Ha più culo che anima” direbbe il poeta. Con buona pace dei grillini, uno non vale uno. L’oro nei 100 metri equivale alla conquista dell’Ohio e il presidente del Coni lo sa

In un quarto d’ora, Malagò passa da imputato numero uno alla storia dello sport italiano
Roma 11/04/2019 - presentazione Internazionali di Tennis BNL / foto Samantha Zucchi/Insidefoto/Image nella foto: Giovanni Malago'

“Ha più culo che anima” direbbe il poeta. È bastato un quarto d’ora a Giovanni Malagò per invertire il corso di queste Olimpiadi, e quindi anche la sua prospettiva. Perché nonostante il battage mediatico – ormai lo sport a tutti i livelli è accompagnato da una propaganda al cui confronto Kim il Sung è stato un sincero democratico desideroso del contraddittorio -, era sin troppo evidente che le Olimpiadi di Tokyo rischiavano di passare alla storia tra le più depressive dello sport italiano.

Perché sì, hai voglia a provare a proteggerti col numero delle medaglie, ci sarà un motivo se nel medagliere non è la somma che fa il totale ma gli ori a fare la differenza. Con buona pace del fu Casaleggio, uno non vale uno. E fino a oggi all’ora di pranzo le medaglie d’oro erano appena due: una nel taekwondo e l’altra nel canottaggio. Inoltre uno degli storici punti di forza dello sport italiano – la scherma – non soltanto è collassata ma è ormai sull’orlo di un’implosione all’insegna del tutti contro tutti.

Ci si è messa anche un po’ di sfortuna, va detto. Paltrinieri ha compiuto un’impresa con l’argento negli 800 e ha disputato un signor 1.500 ma erano sempre due potenziali medaglie d’oro che sono volate via. Così come gli ori della Quadarella.

È interessante in questi giorni leggere e ascoltare le dichiarazioni dei presidenti delle federazioni, somigliano terribilmente alle frasi rilasciate la sera delle elezioni dai malcapitati spediti in tv per provare a confutare l’impietosa aritmetica.

In questi casi, conviene aspettare. E Malagò ha aspettato. Del resto altro non poteva fare. Qualche concessione alla delusione l’aveva già fatta nell’intervista alla Gazzetta. A proposito della scherma oggi ha parlato addirittura di ambiente da rifondare. Poi, quando meno te lo aspetti, nella disciplina da sempre più avara con lo sport italiano, la regina delle Olimpiadi (assieme e più del nuoto), in quindici minuti sono arrivate due medaglie d’oro. Nel salto in alto e – sembra un film – nei cento metri. La medaglia d’oro di Jacobs nei cento metri maschili è stata più o meno l’equivalente dello sbarco sulla luna.

“Ha più culo che anima”, le parole del poeta rimbombano. Malagò sorride tra sé e sé. Sa che non solo l’ha sfangata ma adesso potrà surfare. Perché sì, il bilancio degli addetti ai lavori, quello approfondito, evidenzierà le lacune, le tante lacune che sono emerse. Ma quando sei il presidente dell’erede di Bolt, anche quando l’atleta non è definibile un prodotto della federazione, è come quando vinci l’Ohio. C’è poco da dire.

Ora, Malagò può tirarsela, dire che l’ha sempre saputo («Quando dicevo in tempi non sospetti che nell’atletica potevamo vincere due, tre medaglie, mi prendevano per matto») e poi far finta di parlare d’altro. Persino di volare alto con lo ius soli sportivo.

«Oggi va concretizzato: a 18 anni e un minuto chi ha quei requisiti, deve avere la cittadinanza italiana. Vogliamo occuparci di sport e non riconoscere lo ius soli sportivo è qualcosa di aberrante, folle». Impartisce lezioni alla politica, il buon Malagò, facendo notare che lo sport dovrebbe occuparsi soltanto di sport. Si pone sotto l’ombrello protettivo di Mario Draghi e la butta lì: «penso sia il giorno più bello dell’Italia sportiva e anche mio da dirigente. Abbiamo fatto cose epiche ma dal punto di vista olimpico oggi è stato fatto qualcosa che i nipoti dei nostri nipoti racconteranno». Contateli adesso i bronzi, se avete coraggio.

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