Al Corsera: «La mia è una storia di riscatto verso le condizioni difficili dalle quali sono partita. Seguivo la massa perché avevo paura di essere esclusa. Devo tutto al mio maestro»
Irma Testa: «La mia è una storia di emancipazione. In palestra ho imparato l’italiano e a rispettare regole e persone»
Il Corriere della Sera intervista Irma Testa, la prima medaglia italiana nella boxe femminile alle Olimpiadi. Dichiara che la sua è una storia umana, prima che sportiva.
«E’ vero. Credo che la mia sia una storia personale di riscatto e rivincita verso le condizioni difficili dalle quali sono partita».
E’ cresciuta in uno dei quartieri più difficili di Torre Annunziata.
«Non è una vita facile, anche se da piccola non te ne rendi conto. Non è semplice capire la mancanza di benessere e di sport che ti impedisce di coltivare qualunque ambizione. La mia adolescenza stava scivolando via così. Come quelle di tanti altri, in posti così complicati».
Le cose sono cambiate quando è approdata alla palestra di Lucio Zurlo.
«Con l’ingresso nella palestra del maestro Lucio Zurlo, uno che non insegna solo boxe, ma tira via i ragazzi dalla strada. Da almeno quarant’anni. Una persona cui devo tutto, che meriterebbe di essere conosciuta, molto più di me. Non sapevo parlare bene. Lo facevo con difficoltà, ero come bloccata, ero una bambina che si esprimeva con uno strano impasto di dialetto e di italiano».
A scuola andava male e non ci andava volentieri.
«Male, e malvolentieri. Mi ci costringeva mia madre. A casa nostra ‘oggi non ci ho voglia’ non esisteva. Sono stata costretta a studiare, poco, perché altrimenti mamma si arrabbiava».
Ancora sull’importanza dell’esperienza nella palestra.
«Ho imparato a rispettare le regole e le persone. A capire cosa fosse giusto e sbagliato, e quali erano le cose giuste in cui credere. Per questo considero Zurlo un maestro prima di vita e poi di pugilato. Sono cresciuta in strada. Giocavo, e facevo molti errori. L’ambiente conta tanto. Soprattutto da ragazza tendi ad aggregarti alla massa, e se gli altri fanno un percorso sbagliato, tu li segui. Io lo facevo, perché avevo paura di essere esclusa. È sempre stata quella la mia paura più grande».
E’ fiduciosa dello spazio che prima o poi guadagneranno le donne nella boxe.
«Ogni volta che sento prima dei miei match la musica di Rocky, realizzo che nell’immaginario di tutti non esiste una donna che fa boxe. Ma sono anni che in questo sport le medaglie importanti alla Federazione le portiamo tutte noi. Per questo sono orgogliosa di questa medaglia. So di avere gettato un seme per il cambiamento. Ci vorrà ancora del tempo. Ma alla fine diventerà uno sport come gli altri. Non femminile o maschile. Uno sport, e basta».
La Testa dichiara di non avere tempo per l’amore?
«Lo sport occupa troppo spazio nella mia vita. È qualcosa che ho realizzato, anche con un certo dolore. L’amore mi toglie energie. Ho avuto alcune esperienze. Ci ho provato, non è andata bene. Ma non è stata colpa di chi stava con me, è un problema mio. Sono single. Non ho tempo di stare dietro ai miei problemi di cuore. È brutto quando non riesci a far capire al partner di turno che i tuoi obiettivi richiedono dedizione assoluta e concentrazione. Non riesco a fare spazio ad altre passioni. Ma prima o poi troverò la mia strada».
Si considera una portabandiera per le donne che lottano.
«Penso che la mia sia una storia di emancipazione. Sono una ragazza uscita da un contesto difficile. Non mi definisco femminista, perché credo che ci siano persone che difendono la causa delle donne meglio di me. Ma sicuramente mi sento una portabandiera per tutte le donne che lottano in un mondo maschile contro gli stereotipi e i pregiudizi, di qualunque genere».
Simone Biles dimostra che esiste un male oscuro degli atleti?
«Vita dura, tanti sacrifici, e nel suo caso gli occhi del mondo puntati addosso. La capisco. Lei è un’icona dello sport americano. Ma è anche una ragazza. Non vorrei mai trovarmi nei suoi panni».