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Jury Chechi: «Sono nato nel 1969, la mia prima vera vacanza fu un premio per ginnasti nel 1996»

Al CorSera: «Fu dopo la vittoria ai Giochi di Atlanta. Ci divertimmo ma fu difficile dimenticarsi del lavoro. Quando ho scelto la ginnastica ho capito che mi attendeva un destino da monaco».

Jury Chechi: «Sono nato nel 1969, la mia prima vera vacanza fu un premio per ginnasti nel 1996»

Il Corriere della Sera intervista Jury Cechi, il signore degli anelli. Ha 51 anni, ha vinto un oro e un bronzo alle Olimpiadi, ha cinque titoli mondiali nella ginnastica, unico nella storia. Racconta che non si ferma mai e che non va mai in ferie.

«Quando ho scelto la ginnastica ho capito presto che mi attendeva un destino da monaco e che avrei passato infanzia, adolescenza e primi anni dell’età adulta in un convento chiamato palestra. Sono nato nel 1969 a Prato, la prima vera vacanza della mia vita risale al 1996 dopo la vittoria ai Giochi di Atlanta: era un viaggio premio di gruppo a Portorico, nel gruppo eravamo tutti ginnasti: ci divertimmo ma fu difficile dimenticarsi del lavoro. Ho smesso nel 2004, quand’è nato mio figlio: vacanza è parola che conosco poco».

Quando aveva solo 6 anni, Jury entrò nella palestra della Società Etruria. A 13 era nel convento federale.

«In inverno sei ore al giorno di allenamento a Prato, in estate ritiri permanenti nelle palestre perché i grandi appuntamenti agonistici, anche giovanili, erano in autunno e bisognava prepararli bene. I posti erano tre: Roma, Gallarate e Porto San Giorgio, il mio preferito perché c’erano il mare e la spiaggia all’orizzonte. Ma i nostri maestri erano rigidi: allenamento, pasti con le calorie contate, riposini e libere uscite brevi e controllatissime. Quando dai 16 ai 20 anni tornavamo dalla passeggiata alle nove di sera per andare a letto e vedevamo i nostri coetanei calare in massa verso la spiaggia ci si stringeva il cuore. Progettavamo fughe serali dalle finestre per bere una birra e andare in discoteca, con le ventimila lire di rimborso che la federazione ci dava. Sognavamo amori impossibili che tali restavano. Saremo scappati due volte in tutto: eravamo troppo motivati e indottrinati per trasgredire, anche con il cibo, il peso per un ginnasta è decisivo e il controllo sulla bilancia rigoroso. Dopo quelle clausure estive oggi quando vedo una bottiglia di birra fresca o un gelato — cose all’epoca vietatissime — non riesco a resistere».

Si fa prendere dalla malinconia.

«Per come è andata la mia carriera non dovrei avere rimpianti perle tante estati non vissute che riaffiorano quando vedo gli adolescenti spensierati in spiaggia. Anche se all’epoca l’orgoglio di andare controcorrente, tornavo dalla spiaggia quando gli altri ci andavano, mi ha sempre fatto sentire diverso e speciale».

 

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