Tutti affari di seconda mano, perlopiù vecchi. Ma ciascun presidente crede di essere più furbo dell’altro: è il trionfo del tirare a campare

La premessa è che ha ragione Sarri. In Italia si parla sempre e soltanto di calciomercato. Col risultato che è diventata una malattia ancor più acuta e cronica allo stesso tempo. Risultato che ha dello sbalorditivo. Il calciomercato è ormai una forma di nevrosi. È vero: se si fosse parlato per vent’anni di calci d’angolo, ora saremmo tutti ossessionati dai corner. Il mercato è un desiderio indotto sfociato in un disagio collettivo evidente e difficilmente curabile.
Però il calciomercato può essere osservato anche da un’altra prospettiva. È lo specchio della forza economica di un campionato, di un movimento calcistico. E il calciomercato della Serie A, quest’estate, sta terribilmente somigliando a Porta Portese a mezzogiorno, quando i pochi affari possibili sono belli che andati ed è rimasta la chincagliera che per carità può anche avere il suo fascino.
La Serie A sta invecchiando male. Il campionato si è impoverito, come scrive Sconcerti. È imbarazzante il paragone con gli altri campionati. Il Covid ha colpito tutta Europa, quasi tutti i club – tranne il Psg – devono fronteggiare complesse situazioni economico-finanziarie. Ma nessun campionato si è trasformato in un mercatino dell’usato. L’Inter ha acquistato il 35enne Dzeko e lo svincolato Calhanoglu, dopo aver venduto i prezzi pregiati. La Juventus ha preso Locatelli con la formula del pagherò, strappata dopo settimane di trattativa ad un venditore compiacente; almeno ha piazzato il colpo Kaio Jorge brasiliano dall’avvenire che sembra luminoso, e spera, neanche tanto silenziosamente, della zavorra milionaria di Cristiano Ronaldo. Il Milan, che con la Roma è la squadra che si è mossa con più intelligenza, ha nel 34enne Giroud il suo colpo migliore e ha anche completato gli acquisti di Tonali e Tomori, oltre ad aver preso Florenzi e il portiere Maignan. Il Napoli è praticamente fermo. La Lazio se l’è cavata con lo svincolato Hysaj e lo scaricato Felipe Anderson. La Roma si è mossa bene, ha investito 40 milioni per un giovane (Abraham), ha speso per il portiere e per l’esterno di difesa.
Ma è tutta roba di seconda mano. Pure Abraham: era panchinaro cronico al Chelsea. Da noi abbiamo spacciato Insigne per un caso di mercato ma, come abbiamo detto, è un tormentone di figura, senza soldi. In Premier hanno speso oltre cento milioni di euro per Grealish e Lukaku, tanto per fare due nomi, e siamo in attesa dei botti dell’ultima settimana.
In Italia è stato il calciomercato della povertà. Di un sistema che è ben oltre la crisi: sta collassando. Il Covid ha senz’altro le sue responsabilità, ma non può essere solo il Covid. Il calcio italiano non si è mai voluto dotare di regole e quindi di anticorpi. È il classico sistema all’italiana in cui tutti si appoggiano a tutti, ciascuno chiude un occhio perché un domani quel sotterfugio potrà sempre servire. Il Covid ha solo accelerato l’uscita dei topi dalle saettelle (fognature). Ciascuno è convinto di essere più furbo degli altri. Si è visto in maniera plastica quando abbiamo assistito alla tre giorni della Superlega che ci ha ricordato il fallito putsch quando c’era ancora Gorbaciov. Juventus, Milan e Inter avevano un posto in prima fila, gli altri se ne sono stati acquattati in attesa di capire se usciva qualche briciola anche per loro. È il tipico comportamento di chi non ha speranze né mai potrà averne. Ma, altrettanto indubbiamente, va riconosciuto che è il tipico atteggiamento all’italiana. In Premier i club hanno abbandonato l’idea, in Spagna la Liga è in lotta con Barcellona e Real Madrid, da noi tutto prosegue come se nulla fosse.
La Serie A non ha i diritti tv della Premier, non ha voluto chiudere un accordo come quello della Liga con i fondi, non ha la solidità della Bundesliga (che pure è in recessione) né ha un club come il Psg. Il risultato è che nella top ten dei trasferimenti di Transfermarkt il campionato italiano compare solo nella casella dedicata alla squadra che ha venduto: Lukaku, Hakimi, Donnarumma.
La Serie A si è impoverita, è indebolita ed è invecchiata. La vittoria dell’Europeo c’entra poco e niente col sistema calcio italiano. E siamo ancora molto lontani da un’inversione di tendenza. Il processo di guarigione dovrebbe partire dalla consapevolezza della malattia. Da noi i presidenti sono ancora convinti che tutto possa risolversi con l’apertura al 100% degli stadi. Anche avere un manager degno di questo nome, come Dal Pino, non è servito a granché. Il comun denominatore resta il tirare a campare. Nella speranza che domani possa cambiare qualcosa. Tebas lo ha detto chiaro e tondo al Corriere della SERA: «La Serie A rischia di restare molto indietro, nonostante Ronaldo i vostri diritti tv si sono deprezzati del 10%». Figuriamoci se dovesse andar via CR7. Ovviamente è rimasto inascoltato.
L’unica consolazione per il calcio italiano è che in Italia il suo invecchiamento e il suo impoverimento non balzerà all’occhio. È perfettamente aderente al contesto.