Su Repubblica. Le vittime degli odiatori da tastiera non si contano, tanto che il Cio è stato costretto a fornire un servizio di consulenza per bloccare i “messaggi inappropriati”
Su Repubblica le minacce di morte via social agli atleti che non riescono a vincere le medaglie d’oro. A farne le spese è stato Jun Mizutani, 32 anni, campione giapponese del ping pong. E’ riuscito ad accaparrarsi solo un argento, perdendo nella finale del doppio contro una coppia cinese. I tifosi, a quel punto, si sono scatenati:
“Devi morire”, “Vattene per sempre”, “Sappiamo dove abita la tua famiglia”.
Repubblica riporta le parole di Mizutani:
«Da quel momento non ho più il coraggio di prendere in mano il cellulare. Su Instagram migliaia di sconosciuti promettono di venirmi a cercare per uccidermi e coprono di ingiurie anche la mia anziana madre. Con un argento al collo sono costretto a vivere nella paura».
Mizutani non è un caso isolato. Sono decide gli atleti presi di mira, tanto che il Comitato olimpico internazionale è stato costretto a fornire un servizio di consulenza per bloccare i “messaggi inappropriati” contro gli atleti.
“La polizia giapponese ha annunciato che i post di minaccia, o diffamatori, saranno sequestrati per arrivare a identificare gli autori”.
Altra vittima delle minacce via social è la ginnasta May Murakami. Ha 24 anni, non ha portato a casa medaglie e per questo non è potuta tornare in Giappone per il timore di essere picchiata. Su Twitter ha scritto:
«Sono molto triste, ho dedicato la vita allo sport e scopro che nemmeno arrivare ai Giochi ti dona un attimo di felicità».
Stessa sorte è toccata alla ginnasta Usa Simone Biles, che, dopo aver rinunciato alle Olimpiadi è stata attaccata in rete con insulti razzisti e sessisti.
Il nuotatore Daiya Seto, che è finito quarto nei 200 misti, ha dichiarato:
«Ormai sai che se non vinci la medaglia d’oro vieni travolto dall’odio e sei costretto a sparire. Questo non permette più di competere sereni, le prestazioni ne risentono e molti di noi sono tentati di smettere».
L’avvocato Kazuya Tanaka, membro dell’associazione giapponese “Bar” per la tutela giuridica dei diritti umani, sostiene che questo boom dell’odio nello sport e contro gli atleti dei Giochi è connesso con la pandemia.
«La gente, in Giappone e in buona parte del mondo, vive da mesi reclusa in casa con l’incubo del Covid. Molti hanno perso il lavoro e non sanno come mantenere la famiglia. La salute mentale e nervosa dell’umanità sta rapidamente peggiorando. In Giappone poi si somma l’ostilità della maggioranza contro queste Olimpiadi, svolte nonostante la moltiplicazione dei contagi: gli atleti sono considerati colpevoli di non essersi rifiutati di competere per non mettere a rischio la vita dei propri connazionali».
I comitati olimpici di diversi Paesi, scrive Repubblica, si stanno così muovendo per offrire agli atleti del Villaggio una “difesa social” e il rimborso delle spese legali a chi decide di fare causa contro gli odiatori che vengono identificati.
“I giganti del web promettono di bandire chi “impugna i social come l’arma di un killer contro la bellezza dello sport olimpico”, di cui anche la sconfitta è ingrediente essenziale. Tra le misure allo studio, l’esclusione dall’e-commerce di chi diffonde ingiurie e minacce”.