Al CorSera: «Ho costruito un brand che va oltre la persona fisica, un mondo a 360 gradi, su cui investire»
Il Corriere della Sera intervista Achille Lauro. Fa chiarezza sulle sue origini.
«Avrei voluto essere figlio di una famiglia benestante, in cui non devi combattere per portare a casa qualcosa, ma non è stato così. Però era una buona famiglia: papà ha sempre studiato e ci ha messo 30 anni per avere dei riconoscimenti sul lavoro. Non abbiamo vissuto insieme a lungo e solo negli ultimi tempi ho riallacciato i rapporti con lui. Mamma è una persona onesta, nonostante siamo quasi finiti in mezzo alla strada lei accoglieva in casa ragazzini con grossi problemi in famiglia. Questo contrasto ha fatto di me quello che sono: ho vissuto la periferia abbandonata, ma ho avuto una famiglia con persone che hanno studiato, sapevano parlare e hanno cercato di darmi un’istruzione».
Nel 2019 portò a Sanremo «Rolls Royce».
«La prima scossa per “Rolls Royce” furono le recensioni dei giornali uscite prima del Festival. Poi ci furono le polemiche in cui cercarono di tirare in mezzo una canzone che parlava di una macchina come simbolo di successo (Striscia ci vide un riferimento alla droga, ndr): ho rischiato di finire in un burrone».
Oggi Achille Lauro è coinvolto nel cinema, nella moda, ed è finito anche in un museo: il Mudec di Milano gli dedica fino al 10 ottobre una stanza, una wunderkammer con abiti, immagini e altri oggetti che raccontano questi anni. Il
suo manager Angelo Calculli pensa alla quotazione.
«Penso di aver costruito un brand che va oltre la persona fisica, un mondo a 360 gradi. Che sia la borsa istituzionale o qualcosa legato alle blockchain, arriverà la possibilità di investire su di me».