A Venezia il film di Alessandro Celli. La città divisa in tante zone off-limits che si contrappongono al benessere fasullo di Taranto Nuova
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Fresco di passaggio a Venezia ’78 è approdato nelle sale “Mondocane” la creatura del regista Alessandro Celli che ne firma anche la sceneggiatura con Antonio Leotti, film prodotto tra gli altri da Matteo Rovere. In una Taranto distopica ma con i piedi in un futuro elementare e violento vivono gli adolescenti Pietro (Dennis Protopapa) e Cristiano (Giuliano Soprano) pescatori avventizi figli dell’abbandono. La cittadina dell’acciaio è divisa in quadranti militarizzati dalla Polizia Federale: campo degli orfani, Tamburi e da tante zone off-limits che si contrappongono al benessere fasullo di Taranto Nuova.
In questo scenario post-orwelliano la banda delle formiche capitanata da Testacalda (Alessandro Borghi) e che ha come luogotenente Tiradritto (Josafat Vagni) recluta adolescenti per il controllo criminale del territorio ed ha la sua sede segreta nella zona di Cittadella contrapponendosi alla gang degli Africani. Cristiano e Pietro – il primo soffre di fortissimi attacchi di panico – sognano da tempo di farne parte e dopo l’incendio ad un negozio di animali e l’assalto ad una villetta riescono ad esserne cooptati assumendo nickname criminali: Mondocane (Pietro) e Pisciasotto (Cristiano).
A questo mondo criminale si contrappone la poliziotta Katia (Barbara Ronchi) che si lega con l’adolescente Sabrina (Ludovica Nasti) l’orfana inquieta che cerca di fuggire dal suo quadrante e che conosce incidentalmente le due formiche al mare a Taranto Nuova. Il risultato è un film che esce fuori dai canoni del cinema italiano e che mette a frutto le esperienze Kids e civili di Celli. Il film gode di una fotografia (Giuseppe Maio) che dipinge universi di un’umanità al tramonto, ma c’è sempre un’uscita di sicurezza per una exit da questo microcosmo criminogeno: basta la consapevolezza amara dettata dal dolore di sapere chi sei e cosa si vuole.