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de Adamich: «Ai miei tempi prima diventavamo uomini, poi piloti. Ci rispettavamo in gara e nella vita»

Al Foglio Sportivo: «Oggi non studiano, non leggono libri. Vanno tutti forte, ma se tolgono tuta e casco nessuno li riconosce, hanno fisionomie anonime»

de Adamich: «Ai miei tempi prima diventavamo uomini, poi piloti. Ci rispettavamo in gara e nella vita»

Il Foglio Sportivo intervista l’ex pilota di Formula 1 Andrea de Adamich. Ha corso negli anni ’60, quando bastava niente per morire in pista. Oggi ha 80 anni.

«Ai miei tempi il corpo a corpo era fatto di piloti che si rispettavano in gara e nella vita, cosa che per me oggi non esiste più. Vedi gente come Verstappen o altri che entrano in curva sperando che l’altro si spaventi e li lasci passare. Noi rischiavamo la vita ogni volta e cercavamo di non aggiungere rischi a quelli che già ci prendevamo. Oggi rischiano, tanto sanno che non avranno conseguenze. Le corse ai miei tempi erano pericolose, ho visto morire tanta gente. Quando vedevi del fumo alzarsi in pista pensavi ‘speriamo che il pilota sia uscito’. Poi la seconda volta che passavi accanto a un’auto capovolta la vedevi come un ostacolo da evitare. Non dobbiamo essere ipocriti, ho visto bruciare Giunti a Buenos Aires, Bonnier, Peterson, Revson, Rodriguez, Siffert morire in pista, Helmuth Marco perdere un occhio».

Lui stesso ha avuto incidenti terribili.

«Quando sono rimasto bloccato per 52 minuti con le gambe rotte a Silverstone per un incidente causato da Scheckter che tra l’altro non si è mai scusato con me, ricordo che pensai ma guarda Williamson ha la macchina più conciata della mia e non si è fatto nulla. Potevo rompermi una gamba io e un braccio lui… Poi la gara dopo io ero ancora in ospedale, lui è morto bruciato, io sono rimasto quattro mesi su una sedia a rotelle».

Continua:

«Alla mia epoca prima diventavamo uomini, poi piloti. Oggi cominciano da bambini e non smettono più. Lasciano la scuola e mai che a qualcuno venga l’idea di prendersi un tutor per studiare. Quando commentavo la Formula 1 per Mediaset mi capitava di viaggiare in prima classe accanto a molti piloti. Non uno che leggesse un libro, c’era chi stava nove ore con i primi video game, quelli con la pallina che rimbalza contro un muro. Una volta mi chiesero di presentare un evento al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, quando accompagnai un pilota di cui non faccio il nome, mi sentii chiedere: ma chi è questo Leonardo da Vinci?».

Il rapporto tra colleghi era diverso.

«Eravamo amici. Ricordo le cene a Londra alla vigilia di Natale per il British Racing Drivers’ Club. C’era un rapporto tra noi che oggi forse non esiste più. Ai miei tempi dovevamo scegliere tra dieci molle, oggi passano ore sulla telemetria e in riunioni tecniche».

Gli chiedono quale sia il suo podio ideale. Mette al primo posto Jackie Stuart, al secondo Juan Manuel Fangio e al terzo Alain Prost, anche se vorrebbe metterci Hamilton.

«Vorrei metterci Hamilton, ma secondo me ha una vita privata che non corrisponde all’immagine del pilota che dovrebbe essere invece specchio di sicurezza e concentrazione».

Spiega perché non ha inserito né Senna né Schumacher.

«Schumacher è stato un grande pilota, ma una delle sue fortune è stata quella di guidare una grande macchina, una Ferrari con cui nel 1999 stava vincendo il titolo anche Irvine che era un pilota medio. Anche Lauda ha avuto la stessa fortuna. Hanno vinto grazie alle loro auto invincibili. Senna è stato un grandissimo pilota se pensiamo ai risultati ottenuti con macchine inferiori, però aveva due difetti: l’arroganza tipica di una famiglia ricca brasiliana e poi è stato il primo pilota a fare anche l’attore, pensate a quella scena sul podio a Interlagos. Diceva di non riuscire ad alzare la gomma perché negli ultimi giri il cambio lo aveva tradito lasciandogli solo la sesta quando invece faceva gli stessi tempi dei primi giri».

Sui piloti di oggi:

«Forte vanno tutti forte, ma il problema dei piloti di oggi è che se si tolgono la tuta e il casco e vanno in Monte Napoleone nessuno li riconosce. Norris, Gasly chi li riconosce in borghese? Hanno fisionomie anonime. Senna e Schumacher li riconoscevi anche per quello».

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