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Il padre di Simoncelli: «Bisogna avere coglioni tosti per resistere a chi millanta di parlare con l’aldilà»

A La Verità: «Trovo assurdo omaggiare con il minuto di silenzio ragazzi che inseguono la vittoria nel rumore. Oggi Marco lo vorrei qui anche in carrozzina»

Il padre di Simoncelli: «Bisogna avere coglioni tosti per resistere a chi millanta di parlare con l’aldilà»
Lg Phillip Island (Australia) 13/10/2011 - conferenza stampa motogp / foto Luca gambuti/Image Sport nella foto: Marco Simoncelli

Dieci anni fa, a 24 anni, Marco Simoncelli moriva durante il Gran Premio della Malesia, sul circuito di Sepang. Oggi La Verità intervista il padre, Paolo. Racconta questi dieci anni come «uno stillicidio continuo, tutti i giorni il pensiero va lì».

Continua:

«Non mi sono tuffato in associazioni di genitori senza figli, anche se hanno provato a coinvolgerci. Per non parlare di altre sette strane. Bisogna fare attenzione, quando succede un fatto così arrivano le persone più assurde. Tipo gente che parla coi morti. Devi veramente avere i coglioni tosti per non cadere nella rete di questi personaggi. Veri e propri truffatori. Tanti ci cascano e ne diventano schiavi».

Parla di destino.

«Come dice mia moglie, se quel giorno Marco fosse stato un muratore sarebbe caduto da un ponteggio. Ci siamo resi conto che esiste un destino e quando arriva il tuo momento non c’è nulla da fare. Ha presente la canzone di Vecchioni, Samarcanda? Ecco, lo riassume bene. Marco è morto per 10 centimetri. Se Vale lo avesse preso sulla spalla, invece che sul casco, oggi sarebbe ancora qui».

Sul rapporto con il figlio:

«Le nostre litigate le abbiamo fatte. Qualche calcio nel culo Marco lo ha preso. Era uno che faceva anche incazzare, non era il figlio santificato».

Racconta per cosa si arrabbiava Marco:

«Perché gli dicevo sempre le cose com’erano senza mezzi termini. Però poi finiva lì, un abbraccio risolveva tutto. E lui apprezzava: sapeva che quando aveva ragione io gli davo ragione, e viceversa. Per questo aveva fiducia in me. Ma il nostro era stato un legame forte fin da subito; le domeniche, le gare, i consigli, le delusioni, le vittorie… bellissimo. Era troppo bello, non poteva durare».

Di quel 23 ottobre a Sepang ricorda:

«Il silenzio assordante del paddock. La telefonata a mia moglie per chiedere se era d’accordo per la donazione degli organi (che, poi, non si poté fare perché il cuore si era fermato subito sulla pista). L’abbraccio di Pedrosa. Un abbraccio liberatorio, intenso. Fu il primo che ricevetti. Spazzò via tutte le litigate avute prima».

Come si supera il dolore?

«Il dolore, per forza di cose, o ti ammazza o lo superi. Sicuramente la nostra forza, mia e di mia moglie, è stata quella di non avere rimpianti. Altrimenti sarebbe stata veramente dura. La consapevolezza che se avessimo potuto tornare indietro avremmo rifatto le stesse cose ci ha dato e ci dà grande serenità».

Il lavoro con la fondazione, dice, «lo faccio più per me. Per non morire».

Paolo Simoncelli ha dichiarato che non sopporta i minuti di silenzio per la commemorazione della morte. Spiega:

«Mi fanno impazzire. Non che contesti l’omaggio, è giusto. Però se penso a questi ragazzi che muoiono per inseguire i loro sogni in un mondo dove il rumore è parte integrante della vita, il minuto di silenzio mi sembra un’assurdità».

E dice anche:

«Avevo sempre pensato che se Marco fosse rimasto invalido avrei fatto fatica a gestirlo, immaginavo che sarebbe impazzito. Con mia moglie dicevamo: “Siamo stati fortunati”. Invece preferirei averlo qui con me, anche su una sedia a rotelle».

Esiste un problema di fair play tra i piloti oggi?

«Il problema è delle direzioni di gara che devono far rispettare le regole. Se lasci che un pilota commetta una scorrettezza senza punirlo, la volta dopo lo farà di nuovo. Se gli dai due domeniche di squalifica, vedrai che se le ricorda».

La paura di farsi male non basta?

«La paura ce l’hanno i genitori. I piloti pensano sempre che succederà agli altri».

C’è un unico rimpianto che si porta dietro:

«Non avergli girato l’asciugamano sulla linea di partenza in Malesia. Lo aveva messo alla rovescia. Vedere quel numero 58 rovesciato mi dava un fastidio che non riuscivo a spiegarmi. È l’unico rammarico che ho. Non averlo girato per non disturbarlo».

 

 

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