L’intervista. «Non sono qui in vacanza, voglio dare continuità al mio lavoro e non essere giudicato dopo due risultati negativi. Zeman un maestro». I suoi ricordi napoletani
Francesco “Checco” Moriero. Classe ’69. Ha esordito in Serie A nella sua Lecce. Poi il Cagliari e la Roma. L’Inter, con Ronaldo, con cui vinse una Coppa Uefa. Prima di chiudere la carriera al Napoli, nel 2002. In Nazionale ha giocato titolare il Mondiale 98. Rimase in campo tutti i 120 minuti dei quarti di finale poi persi ai rigori contro la Francia che divenne campione del mondo.
Un tornante d’altri tempi, come si definisce lui stesso. Con colpi acrobatici di tutto rispetto.
Oggi, dopo diverse esperienze in Serie B e in Lega Pro e una, recente, in Albania, è il Commissario Tecnico della Nazionale delle Maldive. Dove ad aiutarlo come assistente personale c’è il napoletano Emilio Mignoli che lo aiuta nel rapporto con i calciatori e con l’ambiente per lui nuovo. L’abbiamo raggiunto telefonicamente e abbiamo scoperto qualcosa in più di questo nuovo inizio.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente e gli abbiamo chiesto come si trova, alle Maldive, in un posto noto per essere un’ambita meta turistica.
Di sicuro vivo in un paradiso terrestre, però questo non cambia assolutamente le mie aspettative. Faccio l’allenatore, sono venuto qui per fare l’allenatore, ringrazio Dio e ringrazio soprattutto il mio amico Nuno Gomes che mi ha dato l’opportunità di lavorare qui come Ct della Nazionale delle Maldive. So che è un ruolo importante perché rappresento un popolo che crede molto nel calcio. L’obiettivo è quello di dare il massimo, mettermi in discussione e poter far crescere questa squadra, una squadra che ha buoni giocatori che spero di far crescere sotto il profilo tattico e fisico. So che non è una passeggiata, perché c’è tanto da lavorare. Ho accettato questa sfida perché sono uno che si è messo sempre in discussione. Non ho mai avuto paura di affrontare le difficoltà. Non bisogna farsi ingannare dal fatto che sono qui alle Maldive. La vita dell’allenatore è uguale da tutte le parti. E io vivo per il calcio.
Con Marco Rossi avete una tappa in comune: entrambi avete allenato alla Cavese. Lui allena l’Ungheria e anche lei ha scelto una Nazionale. Sono tanti gli allenatori che scelgono di andare a lavorare all’estero dopo le categorie minori, senza nemmeno passare per la Serie A. Come mai?
Mah, non è che scegliamo le Nazionali. Io sono tredici anni che faccio l’allenatore in Italia. Purtroppo non tutti hanno la fortuna di arrivare in Serie A. La carriera di allenatore non è facile, sei legato ai risultati. Ci sono annate molto positive che ti aprono la possibilità di fare il salto di qualità: a me è successo soprattutto nei primi anni della mia carriera, quando potevo andare al Genoa e poi invece siamo andati a Lugano. Diciamo che l’inesperienza mi ha portato ad accettare situazioni che non avrei dovuto accettare: non ho mai pensato a fare carriera, ho pensato sempre ed esclusivamente ad allenare e mi sono fatto guidare della passione. Molte volte, lo ripeto, ho accettato situazioni che non non avrei dovuto accettare. Da un anno e mezzo, però, ho chiesto al mio amico Nuno Gomes e a suo fratello Tiago della possibilità di allenare all’estero, perché il mio cruccio è non essere riuscito a dare continuità al mio lavoro: non mi sento inferiore a nessuno ma in Italia purtroppo è difficile visto che si è schiavi del risultato e bastano due risultati negativi per giudicare l’allenatore. Viene così trascurato il lavoro svolto in settimana, la passione e i sacrifici. L’ambiente italiano sotto questo profilo mi è un po’ scaduto, ma avevo comunque voglia di continuare a fare questo mestiere perché mi piace. Mi piace insegnare calcio. Ora ho trovato questa grandissima occasione. Sono felice di essere qui perché finora, comunque sia, sto lavorando tranquillamente. Viene più apprezzato il nostro lavoro. Ed è quello che stavo cercando.
C’è un allenatore in particolare cui si ispira o da cui ha preso qualcosa quando era calciatore? Lei a Napoli il primo anno ha avuto Zeman e Mondonico.
Sì, Zeman è una persona che io stimo. L’ho avuto come allenatore, certo, ma mi piace ancora di più come persona. Amo parlarci, ogni volta che lo incontro. Di lui ho sempre apprezzato il suo insegnare calcio e la sua capacità di guardare sempre in casa propria, nel senso di badare a fare il proprio calcio, a forgiare una propria mentalità, lavorare sulle cose che la propria squadra deve fare, preoccupandosi relativamente dell’avversario. Con l’idea di cercare di essere sempre padrone del campo. Facendo le cose che provi in settimana durante l’allenamento. Ho sempre apprezzato questo, di Zeman. Poi è normale che avendo fatto una carriera abbastanza importante, per 17 anni, ne ho visti tanti di allenatori e da ognuno di loro ho cercato di estrapolare le cose che reputo positive. Quando diventi allenatore, riesci a capire il perché delle richieste che ti fanno quando sei un calciatore. Sotto il profilo del gioco, comunque, sicuramente il boemo per me è stato un maestro.
Cosa ricorda della sua esperienza napoletana da calciatore?
Sono stati due anni complicatissimi. Venivo dall’Inter, mi chiamò Gigi Pavarese. Ebbi la sfortuna di farmi subito male e di fermarmi per molto tempo, senza riuscire neanche a completare la preparazione. Il ricordo più bello che ho è legato al mio esordio. La partita non andò affatto bene: perdemmo 5 a 1 contro il Bologna. Però ebbi la gioia di far gol in quello stadio dove aveva giocato Maradona. Per me giocare in quello stadio lì, che oggi porta il suo nome, è stato un sogno. Ricordo che anche l’anno dopo in Serie B c’erano sempre 60mila spettatori. I tifosi mi hanno sempre trattato benissimo, anche se ho dato poco sotto il profilo calcistico per i troppi infortuni. E tuttora ho tantissimi amici a Napoli e tanto affetto per la città.
Cosa pensa del Napoli attuale? C’è un calciatore del Napoli in particolare in cui si rivede? Forse, per caratteristiche, Politano? O Lozano?
Vabbè loro due sono più offensivi. Il calcio è cambiato. Io ero un tornante, facevo “bandierina-bandierina”, come diceva Mazzone. Coprivo tutta la fascia e dovevo andare anche a concludere e a crossare. Nel calcio moderno non ci sono più calciatori con queste caratteristiche. Per quanto riguarda il Napoli, credo che bisogni lasciar lavorare in tranquillità Spalletti e la squadra, senza mettere troppe pressioni. Il Napoli ha giocatori importanti che stanno rendendo al massimo. Fa un gioco offensivo che mi diverte, ma molto equilibrato. Anche contro la Roma la squadra mi è piaciuta moltissimo. E ha anche un gran carattere. Sta meritando di stare nella posizione in cui sta, sta avendo continuità ed in questo momento c’è grande entusiasmo ma questo entusiasmo non deve tramutarsi in pressione.
Ci possono essere calciatori delle Maldive poco conosciuti già pronti per una categoria come la Serie A, e perché no, per il Napoli?
È troppo poco che sono qui, solo una settimana. Sicuramente ci sono calciatori di grandissima qualità, ma per fare calcio in Europa non basta la qualità: bisogna allenare anche il fisico, le letture di gioco. Qui i ragazzi sono semi-professionisti, la mattina vanno a lavorare e solo la sera siamo due o tre ore in campo. Insomma la mentalità è diversa ma prima o poi, allenandoli anche sotto il profilo della tattica, qualcuno verrà fuori.