La peggior prestazione stagionale. Juric ha annullato Fabian e ha ripetuto la strategia di pochi mesi fa. Ma il Napoli non è più la squadra che può giocare solo in un certo modo
Il peggior Napoli di Spalletti
Cominciamo al contrario, cioè da una conclusione: l’analisi tattica di Napoli-Torino racconta che quella contro i granata è la peggior gara giocata finora dalla squadra di Spalletti. Massimiliano Gallo, nel suo articolo postpartita, ha parlato – giustamente – di condizionamenti psicologici per spiegare la vittoria sudata e un po’ striminzita arrivata contro gli uomini di Juric. Ripetiamo: tutto vero e tutto giusto. Ma non è, non può essere tutto. In realtà anche ciò che è successo in campo ha inficiato la prestazione degli azzurri. Inoltre, è importante anche sottolineare i meriti del Torino: la squadra granata è diventata di proprietà di Juric, gioca un calcio aggressivo, intelligente, che inibisce anche gli avversari più forti. Vediamo con quali mosse e strategie è riuscito a limitare il Napoli e Osimhen, ma solo fino a un certo punto.
Spalletti si è presentato con la solita formazione e i soliti uomini: 4-3-3/4-5-1 piuttosto fluido in fase offensiva, con la solita linea a quattro davanti a Ospina, Fabián Ruiz, Anguissa e Zielinski a centrocampo, Politano, Osimhen e Insigne in avanti. Per quanto riguarda il Torino, Juric ha scelto il consueto 3-4-2-1 in fase offensiva, ma soprattutto ha deciso di attuare la stessa identica strategia utilizzata in occasione del famigerato Napoli-Verona 1-1, quando gli bastò piazzare Gunter a uomo su Osimhen per azzerare quasi completamente la pericolosità del (fu) Napoli di Gattuso. Il difensore prescelto per essere l’ombra del centravanti nigeriano, stavolta, è stato Bremer.
Il Torino ha tenuto un baricentro più alto rispetto al Napoli sia in fase offensiva che in fase difensiva
Come si vede chiaramente dagli screen appena sopra, il Torino ha giocato con il solito atteggiamento ambizioso. La squadra di Juric si è spesso allungata sul campo per poter mantenere alta l’aggressività delle marcature, specialmente quella su Osimhen. Il Napoli ha cercato di forzare questa situazione con una scelta piuttosto radicale: accentrare Mário Rui per fargli giocare moltissimi palloni, e per fargli lanciare lungo. I dati, in questo, sono significativi: nel primo tempo, il terzino portoghese ha toccato il pallone 37 volte (seconda quota della squadra azzurra dopo Di Lorenzo, arrivato a quota 47); su 31 passaggi totali, ne ha effettuati addirittura 7 lunghi. Sempre considerando la prima frazione di gioco, Osimhen ha avuto funzione di apriscatole: 33 palloni giocati (più di Fabián, Politano, Zielinski), ma soprattutto in tutte le zone del campo.
In alto, tutti i 37 palloni giocati da Mário Rui nel primo tempo; sopra, i 33 giocati da Osimhen, sempre riferiti alla prima frazione di gioco
Come detto in apertura, è stato (anche) il Torino di Juric a determinare alcuni dei cambiamenti tattici manifestati dal Napoli. Cioè, le strategie degli azzurri sono state frutto delle idee e delle scelte di Spalletti, ma anche delle contromisure rispetto alle decisioni di Juric. Prima tra tutte, una seconda marcatura a uomo: quella di Linetty su Fabián Ruiz, che praticamente ha tolto allo spagnolo la possibilità di ricevere il pallone e smistarlo con tranquillità. Come detto, non a caso, Fabián ha toccato meno palloni di Osimhen, ma anche di Insigne, Anguissa, Di Lorenzo. Un altro dato che dimostra l’efficacia di questa scelta di Juric: Koulibaly e Rrahmani hanno giocato pochissimi palloni, 27 e 18. In pratica, il tecnico del Torino ha bloccato la costruzione dal basso del Napoli, obbligando Spalletti a trovare strade alternative. L’accentramento e il ricorso alla regia di Mário Rui, per esempio.
Koulibaly porta palla, ma non può smistarla su Fabián, seguito come un’ombra da Linetty
Ne è venuto fuori un primo tempo bloccato, senza grandi occasioni da gol: in totale, il Napoli è riuscito a tirare per sole 2 volte in porta, e uno di questi due tentativi è stato il rigore calciato – male – da Insigne; anche il Torino ha concluso per due volte nello specchio della porta di Ospina, mettendo in difficoltà il portiere colombiano solo in occasione del tiro di Brekalo, al minuto 28′. In realtà le due chance più nitide della formazione granata sono arrivate negli ultimi minuti della prima frazione di gioco, quando il Napoli si è inspiegabilmente annullato e ha concesso due ripartenze a campo aperto ai giocatori di Juric. Che, va detto, hanno sfruttato malissimo entrambe le situazioni, con scelte errate nel passaggio finale e tiri forzati.
La ripresa
Nella ripresa, se possibile, il Napoli ha giocato ancora peggio, cioè in maniera ancora più inefficace e inefficiente in fase offensiva. Il gol di Osimhen è stato infatti il primo tiro in porta della squadra azzurra dopo l’intervallo; prima, gli uomini di Spalletti sono riusciti a costruire una sola occasione davvero pericolosa: il palo colpito da Lozano pochi secondi dopo il suo ingresso in campo.
Quella è stata un’azione tatticamente significativa: differentemente da quanto successo in Napoli-Verona, quando Gunter lo annullò completamente, Osimhen è riuscito a superare il suo marcatore diretto con un’intelligente finta di corpo. A quel punto, si è determinata una situazione di parità numerica che, in qualche modo, ha mostrato come può essere rischioso giocare come vuole Juric, quanto sia importante non fallire nessun intervento, non perdere mai nemmeno un duello. Purtroppo per il Napoli, e per lo stesso Lozano, il bel diagonale scoccato dall’attaccante messicano ha colpito la base del palo alla sinistra di Milinkovic-Savic.
La quintessenza del gioco verticale
Come detto, si è trattata di un’azione tatticamente significativa. Perché ha evidenziato un bug nel sistema di gioco del Torino, ma anche perché è nata da un cambiamento di Spalletti. Dal primo cambiamento di Spalletti, che a un certo punto della ripresa si è reso conto che il Napoli schierato a inizio gara non avrebbe mai segnato. Che era necessario fare qualcosa di diverso per riuscire a superare la difesa granata. Un altro campanello d’allarme è stato anche difensivo, ed è suonato al momento della grande chance capitata a Brekalo. Sul tiro ravvicinato del croato, Ospina ha sfoderato una gran parata dopo che i suoi compagni di difesa e centrocampo avevano mostrato distanze a dir poco slabbrate, a dir poco eccessive.
L’assenza dei centrocampisti in quest’azione evidenzia la perdita delle giuste distanze in fase difensica
A quel punto – o meglio: dopo aver concesso un’altra occasione al Toro, ancora con Brekalo su cross di Singo – Spalletti ha deciso di cambiare. Di dare al suo Napoli un’altra fisionomia. Il 4-3-3 è diventato 4-2-3-1 puro, con Mertens sottopunta alle spalle di Osimhen, Elmas nello slot di laterale sinistro offensivo e doble pivote composto da Anguissa e Fabián Ruiz. Con questo schieramento, il Napoli ha ritrovato le giuste distanze difensive. Ma soprattutto ha creato le condizioni per attaccare la porta del Torino in modo diverso. Ovvero, con azioni simili a quella da cui è scaturito il gol di Osimhen.
Il 4-2-3-1 del Napoli con Mertens sottopunta davanti a Fabián-Anguissa
La presenza di un secondo attaccante in grado di ricevere il pallone tra le linee, ma anche di aggredire la profondità, ha costretto la squadra di Juric ad arretrare, a schiacciarsi nella propria area. Il mancato controllo dello spazio, unito a un possesso più continuo da parte del Napoli (gli azzurri hanno toccato una percentuale di possesso del 67% tra il 70esimo e l’80esimo, mentre il dato grezzo complessivo è pari al 51%), ha fatto perdere certezze alla squadra di Juric. Poi ci hanno pensato Koulibaly e Mertens, con un’azione stile rugby ma di enorme qualità, a determinare la parità numerica in area e il rimpallo che ha permesso a Osimhen di trovare il colpo di testa decisivo.
Ovviamente si tratta di un gol casuale, ma è evidente pure che sia stato innescato da una scelta di Spalletti. Esattamente come l’occasione di Lozano, inserito al posto di Politano per sfruttare la profondità, gli spazi aperti da Osimhen. Insomma, le due occasioni che hanno deciso Napoli-Torino derivano – più o meno direttamente – dai correttivi pensati e attuti dal tecnico toscano. Da un primo tentativo di esasperare la verticalità della sua squadra, poi dalla volontà di darle nuove connessioni interne, grazie alla presenza di un attaccante in grado di venire a giocare tra le linee con maggiore qualità rispetto a Osimhen.
Koulibaly e Mertens fanno tantissime cose belle, a cominciare dal pressing altissimo del difensore senegalese
Come detto all’inizio, dal punto di vista tattico la partita contro il Torino è stata la peggiore tra quelle giocate dal Napoli finora. Come abbiamo visto, la squadra granata ha inibito il gioco degli azzurri senza snaturarsi, cioè senza rinunciare a essere ciò che è, a fare ciò che fa di solito. Una prima intuizione di Spalletti stava per cambiare la partita, la seconda ne ha determinato il punteggio, senza che però ci fosse un dominio reale o un merito netto da parte degli azzurri.
E allora perché il tecnico toscano era così contento nel postpartita, quando ha parlato di «grande vittoria», di «successo non sporco» lodando la sua squadra? Per un semplice motivo, che ha sottolineato lui per primo: «I giocatori del Napoli sono migliorati molto nel dare battaglia, nell’andare a coprire i compagni. È importante, soprattutto quando hai dei giocatori offensivi molto forti che possono sbloccare il risultato in qualsiasi momento».
Ecco, questa è una frase chiave. Per capire il presente, per delineare il futuro del Napoli. Spalletti sa benissimo che la sua squadra, proprio perché espressione di un organico vario e profondo, può segnare in molti modi diversi. E allora sta lavorando in modo da allargare le soluzioni a disposizioni per vincere le partite, più che su un’identità fissa e immutabile da “potenziare”. In questo senso, invece, il lavoro sul reparto difensivo è molto più evidente.
Il lavoro di Spalletti sulla difesa
Anche in una gara giocata male, il Napoli ha concesso solo 3 tiri in porta e più o meno lo stesso numero di occasioni nitide. Alcune, ne abbiamo già parlato, in un momento in cui sono saltati completamente tutti i piani tattici. Considerando che gli azzurri hanno subito solo 3 gol in 8 partite, e che concedono solo 8,9 conclusioni a partita agli avversari, si può dire che Spalletti sia già riuscito a trovare l’equilibrio difensivo che serviva, con un sistema misto e non esasperato – il Napoli sceglie quando attuare il pressing alto e quando compattarsi dietro la linea del pallone, e lo fa in base agli avversari e al momento della partita – mentre in avanti è una squadra che sa cambiare uomini, modulo e principi di gioco senza perdere in qualità.
Una piccola postilla, prima di proseguire: gli azzurri sono la seconda squadra in Serie A per tiri concessi ogni 90′. Al primo posto di questa graduatoria c’è proprio il Torino, con una quota di 8,4.
Anche la scelta di inserire Juan Jesus e di passare alla difesa a cinque, nel finale, è sintomatica di questo cambio di visione. Lozano c’è rimasto sicuramente male, ma in realtà la scelta di Spalletti era obbligata: Osimhen è intoccabile per la sua fisicità, per la sua importanza come pivot e nel gioco di sponda, quindi l’unico modo per costruire un 5-3-2 difensivo era sostituire il messicano oppure Mertens. Considerando che il belga si presta meglio al ruolo di seconda punta, non c’erano alternative. Così Elmas è passato nel ruolo di mezzala accanto a Fabián e Anguissa, Di Lorenzo e Mário Rui sono diventati esterni a tutta fascia e Juan Jesus si è posizionato accanto a Koulibaly e Rrahmani.
I tre centrali difensivi del Napoli nel finale
In poco più di cinque minuti con questo assetto, il Napoli non ha concesso nulla ai suoi avversari. Neanche un tentativo di conclusione verso la porta di Ospina. Ha raggiunto il suo obiettivo agevolmente, senza soffrire, come fanno le grandi squadre. Quelle che sanno anche diventare altro da sé quando è necessario, quando serve per vincere partite nate e/o giocate male.
Conclusioni
Il Napoli è una squadra solida, matura. Che sa essere pragmatica quando deve essere pragmatica, ma ha anche la capacità di divertirsi e di divertire con un gioco frizzante, spavaldo. La metamorfosi vissuta in questa prima parte ha ribaltato completamente gli ultimi due anni, la narrazione per cui questo gruppo di giocatori poteva – e possa – giocare solo in un certo modo. Non era così, non è così, era ed è molto evidente.
Certo, il peso della crescita di Osimhen è enorme, il nigeriano influenza e orienta in maniera netta il gioco della sua squadra e dei suoi compagni, ma c’è anche tanto altro: la prontezza di cambiare spartito, uomini e principi di gioco quando si manifesta la necessità; la capacità di uscire indenne – torna di nuovo il discorso sui pochi gol/tiri subiti – dai momenti difficili delle partite, o di recuperare situazioni sfavorevoli, come a Firenze e contro la Juventus; la disponibilità di tutti i giocatori (finalmente) ad andare oltre se stessi.
In questo senso, l’ingresso di Mertens come supersub, ovvero di giocatore che cambia la partita entrando dalla panchina, è un segnale significativo. Forse in questo momento il Napoli di Spalletti non può (ancora?) permettersi un 4-2-3-1 puro dall’inizio, anche perché poi la coppia Mertens-Osimhen finirebbe per disegnare un 4-4-2 ancora più spregiudicato e squilibrato. Ma può essere una soluzione in grado di ribaltare l’inerzia di partite bloccate, proprio come quella contro il Torino. In attesa che Spalletti lavori su questo punto, e lo farà, il fatto che Mertens si sia calato bene in questo ruolo – un ruolo adatto ai suoi 34 anni e alle sue attuali condizioni, vista anche la forma di Osimhen – è una notizia importantissima. Un Napoli iper-offensivo ha portato a casa due punti fondamentali contro il Torino. E potrà portarne altri in futuro.